giovedì 19 marzo 2009

Rendiconto narrativo - Tratta 0

17 marzo 2009
0. PROVE GENERALI
Partenza da Stazione Aurelia, Roma

Giorni successivi
Riflessione a caldo e a tiepido.

«Non sapersi orientare in una città non vuol dire molto. Ma smarrirsi in una città come ci si smarrisce in una foresta è una cosa tutta da imparare» (W. BENJAMIN, Infanzia berlinese intorno al millenovecento (1987), ed. it. cons. Torino, Einaudi, 2007, p. 18). Sono sinceramente rassicurata da questa affermazione d’autore. Mi sento meno sola. Questa “prova generale” mi ha lasciato l’amaro in bocca, non sono contenta. Noi, infatti, non siamo riusciti a perderci. Per la precisione, ho capito che il vagare tra campi lungo strade e case, con la chiacchiera pronta e il cellulare che squilla, non è proprio quello che mi aspettavo. E forse non sono l’unica a pensarlo, visto che Francesco (Careri; non riesco a chiamarlo né Piccio né, tantomeno, professore) ha commentato con un «comunque così non mi piace». Forse è vero che per perdersi bisogna studiare..
Alle ore 14 era previsto il ritrovo alla stazione ferroviaria Aurelia. Siamo una ventina, non ci soffermiamo più di tanto a aspettare i ritardatari. Foto di gruppo e partiamo, avviandoci verso una salita dietro la stazione. Sembriamo tutti emozionati a varcare un cancello con tanto di “Attenti al cane” ma l’avanzamento tra le margherite dura poco. Due signore ci richiamano dalla finestra difendendo la proprietà privata; dietrofront. Attraversiamo l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e proviamo a deviare verso un casolare in rifacimento, ma ancora siamo fermati. Riprendiamo a seguire la strada attraversando un grande parcheggio, vuoto, forse semplicemente perché gran parte degli accessi alle aree di sosta era impediti da pilastri in ferro. Ammassati in un angolo dei vecchi copertoni, scarti industriali che diventano il nostro primo gesto creativo dell’esperienza. È Francesco a suggerire di disporne 33 in cerchio a simboleggiare le uscite del raccordo; suppongo che la cosa non abbia suscitato in noi la massima reattività, dato che la sua considerazione successiva è stata qualcosa del tipo «Guarda come stanno tutti lì, fermi». Abbiamo delle palesi difficoltà a comprendere quello che stiamo facendo. Più tardi, a casa, ripenserò a Richard Long e lo ricercherò su Walkscapes:

Long utilizza la cartografia come base su cui progettare i propri itinerari, e la scelta del territorio su cui camminare è in relazione con la figura prescelta. Il camminare, oltre ad essere un’azione è anche un segno, una forma che si può sovrapporre a quelle preesistenti contemporaneamente sulla realtà e sulla carta. Il mondo diventa allora un immenso territorio estetico, un’enorme tela su cui disegnare camminando. (F. CARERI, Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Torino, Einaudi, 2006, p. 114).

Il nostro cerchio di copertoni non è un marchio irreversibile e, soprattutto è spontaneo e imprevisto. Abbiamo lasciato un segno simbolico con quello trovato sul nostro cammino, una traccia attraverso qualcosa che ha colpito i nostri sensi e ci ha spinti - più o meno spontaneamente - a agire. Quando ci sediamo per fare il punto della situazione parliamo anche della necessità, durante tutto il percorso, di “scrivere” la nostra presenza, di renderla visibile. Radio Popolare Roma ci seguirà con una sua inviata e sicuramente altri media si occuperanno di noi; quello che dobbiamo imparare a fare, entrando in un’ottica alla quale l’ambiente universitario di provenienza ci ha poco educato, è il provare a trasformare queste passeggiate in qualcosa di nostro. Arianna propone allora di segnare le prossime camminate lasciando dei nastri rossi, che poi diventano azzurri sulla scia kandinskijana:

È facile rendersi conto del fatto che il valore di un determinato colore è sottolineato da una determinata forma, e attenuato da un’altra forma. Colori ‘acuti’ fanno meglio risuonare le loro qualità in una forma appuntita - il giallo, per esempio, in un triangolo -, e i colori che si possono definire profondi si trovano a essere rafforzati, e la loro azione intensificata, da forme tondeggianti. L’azzurro, per esempio, in un cerchio. (V. KANDINSKIJ, Dello spirito nell’arte, cit. in ID, Tutti gli scritti, Milano, Feltrinelli, 1973, vol. I, p. IX dell’ Introduzione del curatore Philippe Sers).

Ecco allora che anche questa prova generale non è andata poi così a vuoto. Guardare (che è più del semplice vedere) le “schizofrenie spaziali” che incontriamo fa parte proprio dell’esperire le realtà meno visibili della città, e i suoi diversi fenomeni da indagare e comprendere. Il trattore tra i campi, il supposto frantoio abbandonato, l’essere “avvolti” da un gregge, il camminare sul bordo del raccordo. Tutto questo è compreso nel «corso peripatetico di avventura urbana, di stimolazione», come Francesco lo ha definito durante la prima lezione. Per me, tutto questo, è nuovo, seppur provenendo da un ambiente, il DAMS, che - più per luogo comune che per altro - si definisce “aperto” e “stimolante”.
Ecco allora che questo blog è un po’ occasione e invito per un ulteriore suggerimento kandinskijano:

Esaminatevi, se volete, dopo aver ‘ascoltato’ e dopo aver ‘visto’.
Chiedetevi, se volete, se quest’opera vi ha ‘condotti’ in un mondo per voi prima sconosciuto. Se sì, cosa volete di più? (V. KANDINSKIJ, Tutti gli scritti, cit., p. 198).

Francesca :)

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