venerdì 29 maggio 2009

Mappatura fisica


Legenda

Biglietto atac: appuntamento alla stazione metro Cinecittà.
Pinolo: attraversiamo Via Tuscolana e imbocchiamo un sentiero di pini.
Spiga e terra: attraversiamo il parco archeologico costeggiando l’acquedotto.
Peli di cavallo: passiamo davanti alle scuderie dell’Ippodromo Capannelle.
Picciolo di fragola e foglia di patata: Stefano, ex-fantino, ci fa visitare il suo orto.
Rosa: davanti a una cappella, un gruppo di signore sta organizzando un pellegrinaggio al santuario del Divino Amore.
Freccia con lo spray: Panajoti lascia il logo di PrimaveraRomana lungo il raccordo.
Frammento di parabrezza, frammento di gard rail in plastica, targa d’auto: percorriamo Via Appia Nuova, molto trafficata.
Sasso e spiga: deviamo tra i campi fino a raggiungere Via Appia Antica.
Spiga di grano: immersi nei campi lungo la Via Appia Antica.
Terra fresca: passiamo tra i vivai di Via delle Cornacchiole.
Pezzo di asfalto: Via Ardeatina, meta raggiunta.

FRANCESCA

Nastro celeste

26 maggio 2009
Via Ardeatina

Poi, una mattina, c’è un botto e si vede un nastro volare sul paese portato da un razzo: è il segnale per l’inizio. Da ogni casa qualcuno esce a legarsi ai propri vicini o si affaccia per gettare il nastro che sarà raccolto da altri. L’operazione dura meno di un’ora, nessuna casa resta esclusa. Intanto Cagliari aveva offerto l’opera di tre scalatori per portare il nastro sulla montagna. È lo spettacolo più atteso dalla gente. [...] È un’attesa silenziosa, col fiato sospeso per circa due ore. Quando il nastro si solleva ad arco, dalla montagna ai tetti delle case, sembra un getto d’acqua. Si Scatenano urla, battimani, suoni di clacson, canti e balli fino a notte inoltrata.
Forse che il grande sogno ad occhi aperti dell’arte moderna di cambiare la vita si è realizzato, sia pure una volta soltanto, proprio qui, in questo luogo lontano dove i nomi prestigiosi dell’avanguardia artistica non sono altro che nomi? Credo di sì: qui, l’arte è riuscita là dove religione e politica non erano riuscite a fare altrettanto. Ma c’è voluta la capacità di ascolto di un’artista che ha saputo restituire la parola a un intero paese, [aiutandolo] ad aprirsi con disponibilità nuova al colloquio e alla solidarietà.

Maria Lai, Legarsi alla montagna, pp. 30-31 e Filiberto Menna, Tela celeste. Nastro celeste (1982), in A. GRILLETTI MAGLIAVACCA, Ulassai. Da ‘Legarsi alla montagna’ alla ‘Stazione dell’arte’, Cagliari, Arte Duchamp, 2006, pp. 25-32: pp. 30-31 e pp. 33-35: p. 33.

Prossimo appuntamento - mercoledì 3 giugno

Ci vediamo alle 15:30 al piazzale del Conad Superstore in Via Ardeatina, angolo con Via delle Cornacchiole.
Davanti vi arriva l'autobus 702 (ferata ARDEATINA-Centro del bivio) che parte dalla stazione metro Laurentina.

giovedì 28 maggio 2009

appuntamento

Ci vediamo
venerdì 29-05-2009 dalle ore 10 alla Casa dell'Architettura, Piazza Manfredo Fanti, 47
per iniziare a raccontare la città percorsa e condividere suggestioni, informazioni , materiale raccolto dei territori attraversati.

mercoledì 27 maggio 2009

ALLOGGI SOCIALI


Sull’internet abbiamo trovato un progetto molto originale da allogi sociali che pensiamo é interesante di lanciare un'occhiata.



Nome opera: VDsD PROGETTO DI QUINTO Monroy - Iquique
Ubicazione: Iquique, Cile.
Architetti: Alejandro Aravena, Alfonso Montero, Thomas Cortese, Emilio de la Cerda.
Tempo di esecuzione: 9 mesi.


Il governo del Cile, ci è stato chiesto di risolvere una difficile equazione di individuare 100 famiglie nel corso degli ultimi 30 anni hanno illegalmente che hanno occupato un appezzamento di 0,5 ettari nel centro di Iquique, una città nel deserto cileno. Nonostante il costo del terreno (3 volte più di alloggi sociali di solito può pagare per terra), ci vuole evitare è l'eradicazione di queste famiglie alla periferia.



Si deve lavorare nel quadro di un programma chiamato il Ministero degli alloggi di edilizia abitativa sociale, senza dinamica del debito (VSDsD), che è orientata alle fasce più povere della società, che consiste in un assegno di $ 7500 per famiglia con cui finanziare l'acquisto di terreni, opere di architettura e di urbanizzazione. Questo piccolo importo al miglior dei casi, si baserà solo l'ordine di 30 m2. Questo obbliga al beneficiario trasformare "dinamicamente" la soluzione di alloggio.



Per un’uso piú efficiente del suolo, si riduze delle dimensioni del lotto di corrispondenza con la casa. Per ottenere la densità, la costruzione sarà in altezza.. E in questo caso, abbiamo bisogno di espandere ogni casa almeno due volte il loro spazio originario.

Cosa fare allora?



un edificio che blocca la crescita delle abitazioni. Questo è vero, tranne il primo ed ultimo piano, primo piano, si può sempre crescere orizzontalmente sul terreno che si trova vicino, nel piano superiore si può sempre crescere verticalmente a aire.La soluzione: un edificio che era solo la prima e l'ultima pianta.

Il progetto

Questo progetto ha individuato una serie di variabili di progettazione architettonica che ci danno la speranza che gli alloggi saranno recuperati in tempo.

Prima di tutto sviluppare una tipologia che ci ha permesso di raggiungere un elevato livello di densità sufficiente a pagare per la terra che è stata molto ben posizionato in città, circondato da una rete di opportunità offerte dalla città (lavoro, salute, istruzione, trasporti). La buona posizione è critica per l'economia di ogni famiglia.

In secondo luogo, abbiamo deciso di inserire lo spazio pubblico (strade e passaggi) e privati (per ogni casa), lo spazio del gruppo: un bene comune, ma con accesso limitato, che dà luogo a reti sociali, un meccanismo chiave per il successo di ambienti fragili.

100 famiglie di fondere in 4 gruppi più piccoli di 20 famiglie ciascuno, si ottene una scala urbana piccola per permettere i vicini di un accordo, ma non così piccolo che permetterebbe di eliminare le reti sociali esistenti.

In terzo luogo, dato che il 50% delle auto m2-set sarà costruito, questo edificio dovrebbe essere sufficientemente poroso in modo che la crescita si verifica all'interno della sua struttura.



Infine, invece di una piccola casa (30 m2) ha scelto di progettare un alloggio di classe media, che possono offrire per ora, solo una parte. Cioe, le parti difficili della casa (bagno, cucina, scale, pareti e mediane) sono progettate dopo (quando la casa é ampliata), ottenendo una casa di più di 70m2.




lunedì 25 maggio 2009

prossimo appuntamento mercoledì 27 maggio

attenzione non è domani come da calendario ma dopodomani!! ditelo a tutti!

l'appuntamento è alla metro cinecittà, alle 15.30 (partire alle 16.00) e si cammina fino al tramonto, con il fresco, in caso di notturna ricordarsi che non c'è luna.

dopo alcuni dubbi abbiamo deciso di continuare con le tratte e le uscite separate e di non considerare l'ultima uscita come una tratta, anche al fine di avere una mappa più chiara.
dunque s riparte da cinecittà.

io e lorenzo non ci saremo perchè siamo a camminare a lisbona sull'acquedotto
per info vedi www.osservatorionomade.net/lisboa

buon cammino autogestito
il prof

domenica 24 maggio 2009

RENDICONTO NARRATIVO

19 maggio 2009
Tratta 9 (da Via Prenestina 913 alla stazione metro Cinecittà)

Vado o non vado? Non vado. È tardi, l’appuntamento è alle 13 in Via Prenestina 913, dove ci siamo salutati la settimana scorsa, ma alle 12:30 sono ancora a casa un po’ avvilita. Francesco insiste per accompagnarmi in scooter e intanto chiamo Margherita (quella da poco laureata a architettura a Valle Giulia) per chiederle di aspettarmi. Il fatto che mi risponda con una voce tranquilla e solare mi fa sentire sollevata.
Io e Francesco ci fermiamo in edicola dove compro una copia di Repubblica: sensibilizzata dalle considerazioni dei colleghi architetti ho deciso che oggi mapperò usando come base la prima pagina del giornale. Cosa ci può essere di più attuale, fresco, “vivo”, quotidiano..del quotidiano del giorno?!
Arrivati a Via Prenestina noto che “il gruppo del martedì” è veramente ridotto, le persone riparate sotto l’ombra di un pino sul ciglio della strada si contano sulla punta delle dita: Margherita, Piccio, Lorenzo, Giulia, Azzurra, Laura, Giacomo, Panagiotis e Giorgio. Sto per mettere il casco sotto la sella del motorino quando Francesco mi porge sorridendo il suo vissuto Tuttocittà, proponendomi di “arredarlo” con la mappatura del percorso. «Così partecipo un po’ anch’io..». Sono contenta, mi fa piacere.
Dopo il rituale caffè post pranzo decidiamo di partire, appurato che ormai non ci raggiungerà più nessuno dei nostri. L’afa di questa pazza primavera si fa sentire, anche perché ormai ci muoviamo sotto il sole delle 14. Piccio presenta il programma del giorno proponendo di arrivare alla Tuscolana con «un attraversamento veloce e possibilmente all’ombra», cosa sulla quale ci trova tutti d’accordo. Imbocchiamo Via Cesare Tiratelli e noto i nomi dei negozi e dei grandi rivenditori che si succedono in fila: Arredamenti Aventino, Scarpa Mondo, Decathlon. Intanto Margherita osserva che, tra di noi, quattro persone su nove hanno i sandali. Visto le passate tratte penso che la loro non sia stata una scelta saggia..
Non abbiamo ancora percorso 100 metri che vediamo correre dietro a noi un ragazzo a petto nudo che brandisce con la destra una spada giocattolo e con la sinistra sventola un manifesto. «Ma che è Andrea?!». Sì, è Andrea. Che fosse un personaggio particolare l’avevo profondamente intuito la settimana scorsa quando ci ha guidato nell’ex salumificio Fiorucci occupato, e probabilmente non avevo bisogno che lo confermasse ulteriormente. Ci raggiunge, si unisce a noi, e nel giro di un quarto d’ora ci lascia senza parole. Decantato il manifesto del G8 2009 racconta le sue avventure con i magrebini, si arrampica su una cisterna d’acqua, falcia con la spada le alte spighe del campo in cui iniziamo a camminare, entra in una vecchia roulotte arrugginita, apprende il programma del nostro vagare e comincia a gridare ridendo: «A Piccio, ao’, ma ‘ndo stiamo andando? Chi siamo? Cosa facciamo? Cosa portiamo? Un fiorino! Quando monti questa mettici sotto l’armata Brancaleone!». Giorgio ride: «Oggi l’uscita è tutta dedicata all’autoctono».
Stiamo camminando tra le spighe e i papaveri: gli allergici consumano un fazzoletto dopo l’altro e Andrea, che ricordo essere a petto nudo così come è arrivato, ha la pelle irritata chiazzata di rosso. Maledico la disorganizzazione della giornata che mi ha fatto dimenticare a casa la pezzuola per la testa. Il terreno è leggermente in salita, e appena comincia a scendere ci appare davanti uno dei paesaggi più belli che abbia mai visto in vita mia. Dopo più di un anno a Roma ancora mi emoziono a passare di sera lungo i fori imperiali, o a alzare lo sguardo sulle statue di San Giovanni che si intravedono da Piazzale Appio, oltre le torrette della porta. I resti dell’acquedotto romano che ora si presentano tra il giallo delle spighe, imponenti nella loro mole mutilata dal tempo, è un’altra delle immagini che mi sorprendono e mi fanno dire: «Ma dove vivo?».
Per evitare un campo coltivato camminiamo sulla striscia esterna di terra arsa, a zolle scomposte, tanto che a Laura sembra di fare un «massaggio plantare». Ci fermiamo all’ombra per prendere fiato e far finta di dissetarci con gli ultimi sorsi di acqua calda delle nostre bottiglie. Lorenzo ci spiega come i terreni che stiamo attraversando siano stati confiscati alla famiglia Sereni in base alla Legge 167 del 18 aprile 1962, sulle “Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare”. I progetti iniziali prevedevano l’organizzazione dei terreni in un’azienda agricola e in un parco archeologico, ma su internet non riesco a trovare informazioni più precise. Nel silenzio Andrea recita una poesia sulla Russia del 1986 scritta da un certo «padre di Duccio», soggetto menzionato spesso da lui e Piccio e che ora è presentato come un «poeta dadaista».
Dopo la pausa tra l’erba secca arriviamo al limite del terreno e chiediamo al pastore che vive nella confinante tenuta se può farci passare. Ci informa che siamo alla Tenuta Staffieri (e non a Torre Mistica, come pensava Lorenzo) e ci permette di riempire le bottiglie a una pompa del giardino. Sbuchiamo in Via degli Scriccioli, per la quale ci immettiamo in Via dei Ruderi di Casa Calda; dopo l’attraversamento dei campi striamo tornando alla civiltà. A Piazzale delle Paradisee ci sediamo all’ombra lungo il marciapiede. Laura pensa a alta voce: «Certo è incredibile eh. Là aperta campagna, e qua..».
A Via delle Averle 10 Andrea ci fa conoscere Torremaura occupata, spazio che a Gennaio ha festeggiato 17 anni di autogestione. Giacomo si stupisce di un tale compleanno: «A 20 anni scatta l’usucapione?!». Sì, se avessero pagato le bollette o avessero dimostrato in qualche modo “istituzionale” di abitarci. Ciò non è stato fatto perché è mancato proprio l’interesse a ottenere la proprietà, dato che non era quello lo spirito e l’intento con cui è partita l’occupazione. Oggi Roberta, Daniele e Valentina, con cui parliamo, definiscono il loro non un centro sociale ma uno «spazio abitativo occupato, in cui si svolgono iniziative di vario genere». Mi faccio dare il flyer dell’evento di giovedì 21, serata sushi vegan. Intanto Giacomo ha preso confidenza e chiede di poter preparare un caffè; quando Margherita si avvicina ai fornelli per aiutarlo legge la definizione che vi è appesa e ne rimane così colpita dalla sua chiara semplicità da trascriverla sul mio blocchetto:
Ricordate: camminare vuol dire mettere un piede dopo l’altro senza superare i 3 Km/h altrimenti diventa corsa.
Daniele ci fa visitare la stanza adibita a laboratorio di serigrafia, dove sono appese le recenti magliette fatte. Azzurra si prenota per andarli presto a trovare.
Rinvigoriti dal sorso a testa di caffè siamo pronti a ripartire e Valentina declina fermamente l’invito a venire a con noi: «Ma non ci penso proprio!». Anche Andrea sembra essere dello stesso parere, e dopo essersi fatto una doccia con nonchalance ci saluta mentre noi proseguiamo verso Anagnina.
Via Giglioli dovrebbe portarci direttamente alla Casilina e la imbocchiamo. Mi fermo a cogliere un paio di nespole dai rami che si sporgono da un giardino. Penso a quando le ho mangiate l’ultima volta, due settimane fa alle Cinque Terre, allungandoci in maniera poco elegante oltre il cancello di un giardino. Il giorno dopo, a un banco di frutta a Monterosso, le vendevano a 6,5 euro il chilo ma io e Francesco non abbiamo resistito e le abbiamo comprate lo stesso. Anche nel campo dei miei nonni è piantato un grosso nespolo dalle foglie scure, ma ora che lo rimpiango penso che nessuno dei nipoti ha mai apprezzato quei frutti stagionali dai semi troppo grossi.
Entriamo nel caseggiato numero 54 e ne costeggiamo il cortile interno. Sono le case popolari di Torre Maura, costruite nel 1983, cinque complessi intorno a un verde giardino dall’erba curata. Camminando tra il verde mi colpisce qualcosa che riluccica e raccolgo un frammento di specchio. Ci affacciamo tra la trama di fili colorati che fungono da porta al garage-negozio di Giuseppe, parrucchiere di Monreale, arzillo signore sulla sessantina che Panagiotis non riesce a convincere per un taglio di capelli sul momento.
Tagliando per un tratto erboso sbuchiamo sulla Casilina in corrispondenza dell’area di lavoro per gli scavi della linea C, proprio davanti al palazzo in mattoncini rossi (come il mio a Pistoia, che però li ha gialli) sormontato dall’insegna Renault. Alla nostra sinistra si alza una rampa del raccordo, in corrispondenza della uscita 18 (Autostrada per Firenze; Roma centro; SS Casilina).
Attraversiamo di corsa i binari del trenino che dovrebbe arrivare a Giardinetti, e arrivati dall’altro lato della strada noto un’indicazione per l’Auditorium. Penso al discorso di Giacomo della settimana scorsa e glielo faccio notare.
In Via Barbetti Piccio mi porge una figurina del cartone Disney Madagascar 2. Via Lippo Magli costeggia il raccordo e alla nostra sinistra si susseguono una serie di grossi negozi; entriamo da Arredo Bagno chiedendo di poter salire sul tetto per vedere il GRA dall’alto e la signora ci conduce a una scala in ferro sul retro che, se proprio non ci permette la visuale che cercavamo, ci lascia soddisfatti. Nel grande negozio dove regna la ceramica bianca scorrazzano conigli nani e, sul bancone, accanto alla cassa, c’è una ciotolina di noccioline. La proprietaria è disponibile e gentile, e le chiede di “mapparsi” lasciando sul Tottocittà il timbro del negozio. Lei mi ringrazia.
All’altezza del centro commerciale La Romanina ci avventuriamo tra un recinto verde dall’alta erba poco rassicurante, tanto che Piccio consiglia di camminare in fila: «Non vorrei inciampare in un cadavere». Laura, che già si era strappata i pantaloni di lino celesti scavalcando la rete, ora li ha praticamente ridotti a brandello. Vediamo poco lontano delle baracche di legna e plastica e gridiamo per farci sentire. Una ragazza romena, che poi si rivelerà sbrigativa nella chiacchierata perché a telefono con la madre, ci fa cenno di poter passare.
Continuiamo a costeggiare il raccordo tra i giardinetti condominiali di Viale Ciamarra; dall’altra parte del raccordo si staglia il casermone dell’Università di Tor Vergata.
Arriviamo in Via Leopardi 34 e ci fermiamo alla parrocchia di San Giuseppe Moscati, un edificio in stile Michelucci-kitsch con tanto di colonne esterne scanalate. Il cortile è luogo di ritrovo di bambini e Piccio mi porge una carta da Uno con il numero nove.
Ormai siamo arrivati alla meta e ci sentiamo in dovere di fermarci al forno di Via Ciamarra 49 per dividere un paio di bottiglie di birre e di coca-cola seduti ai tavolini sul marciapiede. Giacomo telefona a Roberta, ex studentessa di Piccio, che sebbene stanca per la giornata di tirocinio, svolge con piacere il ruolo di autoctona di quartiere. Ci dice che ha sempre vissuto qui, e indicando la pista ciclabile in costruzione che intravediamo dall’altra parte della strada confessa che «hanno un po’ preso un abbaglio» e la ritiene superflua. Continua dicendo che con la costruzione della nuova area sportiva vicina alla Tuscolana, comprendente piscine, campi da tennis, punti ristoro e un parco all’aperto, il quartiere si è arricchito di «un buon centro d’aggregazione che prima mancava».
Siamo ancora rilassati e poco propensi a ripartire ma salutiamo Roberta e facciamo l’ultimo sforzo per raggiungere Cinecittà, dove Giorgio tenta di farci entrare e Panagiotis dichiara che anche lui vuole diventare «un star». Da lì prendiamo la metro in direzione Termini e crolliamo sui sedili arancioni. Nell’ultima pagina di annotazioni del taccuino leggo la pizzeria di Piazza Santa Maria Ausiliatrice e le gelaterie nei paraggi che Giacomo mi consiglia per la cenetta serale.

FRANCESCA

venerdì 22 maggio 2009

USCITA 06 SABATO22

USCITA 06

Appuntamento sabato 23 Maggio alle ore 10 alla fermata Cinecittà Metro A (davanti all’ingresso degli Studios)


Incontriamo Duilio, vecchio custode della tenuta Torlonia e oggi dei resti archeologici della Villa Sette Bassi lungo la via Tuscolana. Attraverso i pascoli, attraversiamo la borgata Romanina e arriviamo a via Schiavonetti nuova sistemazione della comunità dei Rom Kalderasha, un tempo residenti al Mattatoio.

Tra la centralità urbana e il Piano di Zona della Romanina, troviamo l’ex stabilimento dell’Italcable degli anni ‘20, diventato oggi Officine Marconi, suggestiva testimonianza di archeologia industriale trasformata in centro di produzione culturale.

Dalla torre medievale restaurata da Ikea e chiusa nello svincolo arriviamo alle nuove zone di Osteria del Curato tra nuovi spazi pubblici e qualche campo ancora coltivato. In via Campofarnia ci aspettano gli occupanti (132 famiglie circa tra immigrati e sfrattati) di un stabile per uffici oggi CEAT (Centro Emergenza Abitativa Temporanea) esperimento realizzato da Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa, Action e X Municipio.
Lungo un antica strada romana e una nuova in costruzione raggiungiamo l’isola occupata dai negozi di lumi circumnavigata dall’anello d’asfalto delle due corsie di marcia del raccordo, la famosa variante dei lampadari.
Da Gregna Sant’Andrea raggiungiamo il campo nomadi La Barbuta di Ciampino per l’inaugurazione di un nuovo spazio di incontro per la comunità.

Vi proponiamo un kit per le uscite della PrimaveraRomana:
oltre a scarpe comode e crema solare,
macchine fotografiche, video e registratori di suoni,
taccuini, pennarelli, acquerelli
bicchiere per l’acqua delle sorgenti della campagna romana e per un assaggio di vino, contenitori per erbe commestibili, ma non troppi pesi che si cammina.

Venite anche con nonni e nipoti.

OKUPAS














Ciao a tutti!
Voglio presentare due essempi spagnoli sul'abitare ed ocuppare che penso vi interesseranno molto.
Il primo è il progetto "Instant City" di José Miguel de la Prada Poole, del 1971, lo abbiamo scelto per la sua condizione di transitorietà ; e il secondo essempio sarà l'opera del giovane architetto sivigliano Santiago Cirugeda, e questo lo abbiamo scelto per le condizione legale e sociale in cui opera.
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José Miguel de la Prada-Poole è un architetto quasi completamente sconosciuto oggi nella Spagna. Il carattere dei suoi progetti spiega questo in gran parte. Professore nella ETSAM (Escuela Tecnica Superior de Arquitectura de Madrid), egli è stato, comunque, un maestro per tanti giovani architetti spagnoli che stanno facendo molto, e che sono, loro si, molto conosciuti e apprezzati. Anche io stesso posso dire, più umildemente, questo. Non ho mai conosciuto un professore come lui.

Il progetto della "Instant city" data del 1971. Qui si svilupanno le idee principale di Prada-Poole. Si trata di una città per le persone che dovrebbero rimanere in Ibiza per il Congresso Internazionale di Design. Era una convocatoria "contraculturale", gli studenti di tutto il mondo eranno chiamati a una spiaggia di Ibiza per il "Comité ad Hoc per la Città Istantanea". Prada-Poole dovrebbe dare alloggio a questi studenti. La sua idea era come la temporalitá, la legerezza, il riciclaggio, e l'organizacion potevanno influire su quelli che abitavanno lì; e come questo se poteva raggiungere grazie a questa sperienza concreta e queste persone, col suo modo d'abitare.

C'eranno soltanto due mesi per il disegno di questa "città" e condizioni di zero denaro. Prada-Poole adattò un progetto anteriore per una città di vacanze itinerante; con elementi che dovrebbero servire per l'autocostruzione del insieme da parte degli studenti; con la base di un "sillabario costruttivo". Con pezzi neumatici di colori diversi, forbici, e una cucitrice, la città poteva crescere ilimittatamente, e qualcuno poteva aggiungere nuovi pezzi di città grazie al modo in cui questa era stata concepita. Una città "senza porte", di crescita illimitata, definita per i suoi utenti, ma soltanto possibile per che era istantanea, destinata a scomparire quasi subbito.

In efetti, la polizia arrivò in meno di due mesi e questa sperienza vidi la sua fine. I plastici di colori fu donato da parte di Prada-Poole per le serre vicine a la costa. Così lui spiega come certa parte de la isola era piena di colori che avevano fatto prima parte di questa "Instant City"

C'è tanto da dire di questo progetto, ma rimane, insieme col nome di Prada-Poole, un vero enigma. Sicuramente per che non puo essere di un'altro modo.

Qui vi lascio delle imagine, un testo dal proprio Prada-Poole molto interesante (in spagnolo), e un link a un video dove lui tratta di altri progetti suoi.






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Santiago Cirugeda é un giovane architetto spagnolo per la ESARQ di Barcelona. Lui é preoccupato per cuestioni di riciclaggio e architettura transitoria, ma, sopratutto, lui é stato molto aprezzato per lo sviluppo di strategie di ocupazione e intervenzione urbana. Lui si definisce a se stesso come alegale, cioè, lui trata di sfruttare i vuoti legali in beneficio della comunità. Tutti i suoi progetti si possono incontrare nella sua web sotto il titolo generico di Recetas Urbanas, e ognuno é libero di usare queste ricette, che non sono più che una serie di attrezzi per superare la burocracia locale e così essere in posizione di sviluppare progetti economici con una visione che sia veramente quella della comunità.

Non c'è molto senso in parlare più di Cirugeda, poichè tutto è nel suo sito e offerto a tutti. C'è anche la versione in inglese per chi non vuole perdere il tempo con lo spagnolo.

Spero che questi due essempi siano stati d'interesse per tutti voi. I punti comuni con quello che facciamo nel corso possono considerarse soltanto tangenziali, ma comunque penso che guardare quello che fa altra gente che, alla fine,hanno gli stessi pensamenti, non fa male. Anche per mostrare quello che c'è nella Spagna. Forse molti conoscevate a Cirugeda già, ma spero che il discubrimento di Prada Poole sia stato piacevole.

Ci sono un sacco d'errori, lo so.






http://caminantenohaycaminoroma.blogspot.com/

DERIVA













Dopo i dubbi circa il concetto di deriva abbiamo fatto un po 'di ricerca sulle sue origine, l'impatto, attualità…

Tutto iniziò
Tutto iniziò a Parigi con un piccolo gruppo di artisti chiamati, Paroliere, fondato per il neo-dadaista Isidore Isou, voleva di sostituire la cortesía per il rumore e la parola per la lettera. Influenzato da questo movimento, Guy Debord, un prototipo del maledetto carattere, di formazione e di auto eterodosse, che è nato nella città di luci, il giorno dei santi innocenti del 1931. Ha fondato l'International paroliere (IL), una rivista che ha avuto un’alternativa a nuovi e vecchi e riciclati surrealismo, come una nuova trasformazione del mondo. Ma certamente non è stato fino al 1957 che la fusione IL, con una nuova rivista, l'Internazionale Situazionista (SI).


Manifesto
L'uomo potrebbe partecipare a una visione multidimensionale di tendenze, di esperienze e di scuole diverse, contemporaneamente. Creare disordine, rompere con il vecchio ordine e trovare un modo migliore di comunicazione reale e diretto.

Attraverso questi situazioni, una reazione a catena è sollevata, per liberare la vita quotidiana, creare nuove passioni, creando una vera e propria rivoluzione nel comportamento e dare un senso alla cultura.

Sì, un'avanguardia
Sì, fu un'avanguardia, ma anche un nuovo modo di vivere. L'arte non deve essere bello, contemplativo o durativo, semplicemente deve provocare un impatto e dimenticare la considerazione di "opera d’arte".

Collettività
La collettività situationista ha utilizzato l'arte come un elemento centrale, la ricerca di situazioni era il fondo di tutto. I principali situazionisti erano: Isidore Isou, Michelle Bernstein, Asger Jorn e Gil Wolman Veneigem Raoul.

Metodi
I metodi che vengono proposti sono:

Psychogeography: Le città dovrebbero essere luoghi di incontro, si faceva mappe sulle emozioni che suscita lo spazio urbano, l'alterazione delle strade, alla ricerca di una "urbanismo unitario" che ha utilizzato l'arte e la progettazione urbana per creare rapporti dinamici e gli esperimenti sul comportamento .

Deriva: tecnica di passo ininterrotto, di camminare senza meta, senza alcun punto fisso, cambiando di strada, alla ricerca di altri ambienti.

Detournement (deviazione): dobbiamo cercare di alterare il significato del elementi estetici. In questo senso, non vi può essere la pittura o musica situazionista, ma un uso situazionista di questi mezzi.


INTRODUZIONE













Come introduzione, il poema più famoso di Antonio Machado, che ci viene in mente quando pensiamo in quello che facciamo. Abbiamo scelto il suo piú famoso verso per il titolo del nostro blog ( dove e tuto lo che facciamo noi), il nome di questo blog è http://caminantenohaycaminoroma.blogspot.com



Todo pasa y todo queda,
pero lo nuestro es pasar,
pasar haciendo caminos,
caminos sobre el mar.

Nunca persequí la gloria,
ni dejar en la memoria
de los hombres mi canción;
yo amo los mundos sutiles,
ingrávidos y gentiles,
como pompas de jabón.

Me gusta verlos pintarse
de sol y grana, volar
bajo el cielo azul, temblar
súbitamente y quebrarse...

Nunca perseguí la gloria.

Caminante, son tus huellas
el camino y nada más;
caminante, no hay camino,
se hace camino al andar.

Al andar se hace camino
y al volver la vista atrás
se ve la senda que nunca
se ha de volver a pisar.

Caminante no hay camino
sino estelas en la mar...

Hace algún tiempo en ese lugar
donde hoy los bosques se visten de espinos
se oyó la voz de un poeta gritar
"Caminante no hay camino,
se hace camino al andar..."

Golpe a golpe, verso a verso...

Murió el poeta lejos del hogar.
Le cubre el polvo de un país vecino.
Al alejarse le vieron llorar.
"Caminante no hay camino,
se hace camino al andar..."

Golpe a golpe, verso a verso...

Cuando el jilguero no puede cantar.
Cuando el poeta es un peregrino,
cuando de nada nos sirve rezar.
"Caminante no hay camino,
se hace camino al andar..."

Golpe a golpe, verso a verso.



"No hay camino, hay que caminar..." - Luigi Nono




Mappatura fisica

13 maggio 2009

RECTO


LEGENDA

Biglietto atac: appuntamento alle 13:18 alla stazione La Rustica Città. Lascio il motorino a Termini e mi sposto con la metro B a Tiburtina, dove prendo il trenino delle 13:01 in direzione Tivoli.
Briciola di tarallo salato, carta di gomma da masticare, frammento di vetro d’auto: pranzo veloce sul marciapiede sporco, davanti alla strada trafficata.
Foglia d’insalata e legno di cassetta da frutta: mercato ortofrutticolo all’aperto di Via Dameta.
Logo del progetto: Panagiotis imprime sul marciapiede, con le bombolette, la spirale rossa attraversata dal polivalente acronimo GRA.
Semi di zucca (semenche), e loro disegno firmato da Madonna: chiacchiere davanti alla casa in muratura del campo nomadi di Via Dameta, dove ci ha condotto Lucio Conte. Mentre un gruppo di noi si fa raccontare la storia del campo e dei suoi abitanti io e Margherita veniamo circondati da bambini che si divertono a disegnare sulle nostre mappe.
Disegno della regione Marche e relative informazioni: Claudia, che mi fa compagnia durante tutto il tour del campo, mi ripete la lezione di geografia sulla quale è stata interrogata.
Carta di cerotto: segno dell’organizzazione degli abitanti del campo. In tre giorni, chiedendo a amici e alla portineria dell’università, non sono riuscita a reperire un cerotto per coprirmi il dito che mi sono tagliata; appena lo chiedo a una signora con la lunga treccia nera entra sicura in un bianchissimo bagno con la vasca idromassaggio e me ne porge una scatola.
Rametto di gelsomino: Via Delia è un susseguirsi di villette con giardini curati e siepi profumate.
Buccia di melanzana, foglia di carciofo, macchia di caffè: al numero 106 veniamo invitati per un caffè da due gentilissime signore che stavano pulendo le verdure per metterle sott’olio.
Papavero e spighe: costeggiando il raccordo attraversiamo un bellissimo campo “tricromatico”: il rosso dei fiori, il giallo delle spighe, il verde dell’erba.
Etichetta in plastica con nome orientale: il campo termina del parcheggio dell’albergo Novotel, evidente meta di pullman turistici.


VERSO
LEGENDA

Foglia di allora resa grigia dalla polvere: Via Collatina è un via vai di camion e autotreni immersi nel pulviscolo.
Macchia di terra: attraversiamo un terreno in costruzione, arido e secco.
Margherita gialla: aldilà di un fossato si stende una distesa gialla, impressionante proprio per la contrapposizione con l’arsura del terreno da cui usciamo.
Tappo di birra e spicchio d’aglio: tra gli alberi sono accampati un gruppo di rumeni che hanno appena pranzato.
Trifogli: ci sdraiamo in un prato di trifogli. Sono così alti che lasciamo profonde sagome tra il verde.
Sasso: arriviamo su Via Prenestina uscendo da una piccola strada di campagna.
Carta di gelato: pausa al bar accanto al negozio di lampade “La casa della luce”.
Ex (1) salumificio (2) Fiorucci (3) occupato (4):
(2) gancio per carni, bullone: residui del lavoro che vi veniva compiuto.
(1) foglia di fico: simbolo dell’abbandono e del degrado del complesso in disuso da anni, le cui stanze sono invase da escrementi di animali e da vegetazione casuale.
(3) scotch con il logo della fabbrica: il grugno sorridente di un porcellino rosa è la sbiadita traccia del vecchio salumificio
(4) ritaglio di giornale: nonostante il degrado e l’abbandono la ex fabbrica “vive” di nuovi fermenti. Il giornale con la data di oggi che raccolgo da terra diviene traccia di persone che, abitandovi, si informano e comunicano con “l’esterno”.

FRANCESCA

Rendiconto narrativo

13 maggio 2009
Tratta 8 (da stazione La Rustica Città a Via Prenestina 913)

Alle 13:01 un bel gruppetto di noi parte da Roma Tiburtina con il trenino diretto a Tivoli. L’appuntamento è alle 13:18 alla stazione La Rustica Città nome che, concordiamo, ci fa pensare ai panini dell’autogrill, quelle sfoglie prosciutto e fontina vendute a spicchi regolari.. Abbiamo fame e, in generale, noto che siamo agitati.
Partiamo in orario, e mentre il treno lascia la stazione Piccio conta quanti dei nostri ritardatari abbiamo lasciato sulla banchina; prenderanno il treno dopo.
Impiegamo un po’ a trovare tutti posto in uno stesso vagone. Intanto Piccio lamenta la mancanza del pranzo, Bianca mette le mani avanti dichiarando di essere «in prova», Maria non ha trovato la soia in agrodolce per il riso al curry.
La stazione La Rustica Città è come il far west, afosa e deserta. Attraversandola per andare a cercare un bar mi appunto un paio dei francesismi e delle perle di saggezza che adornano i muri: «..te amo!!! grazie d’esiste»; «Nel dubbio mena».
Ci sediamo sul marciapiede, appoggiati alla vetrina di un negozio di articoli per la casa (37 euro un servito da 38 piatti!) e pranziamo mentre gli altri arrivano via via. Sarà la mancanza di Lorenzo e del suo “spirito mangereccio di condivisione”, sarà che non è ancora arrivato Giorgio con la videocamera, ma il pic-nic di oggi con le macchine che ci passano davanti è un po’ triste.
Irene è il volto nuovo della tratta e la interrogo. È iscritta alla facoltà di architettura di Valle Giulia, dove sta preparando una tesi sui rom. Le chiedo come un tale progetto di ricerca possa collocarsi al termine di cinque anni di studi architettonici, ritenendo che sia più oggetto di interesse dell’ambito antropologico o sociale. Mi dichiara la stanchezza per un’università astratta e il suo desiderio di affrontare uno dei problemi concreti di Roma: l’emergenza abitativa. Lei e il suo amico sono leggermente imbarazzati, e a maggior ragione mi chiedono spiegazioni appena tiro fuori l’armamentario per attaccare sulla mappa, che anche oggi comporrò, il biglietto atac e una briciola di tarallo. (Che strana questa cosa: le mappe si “tracciano”, la mia si “compone”).
Sembra che il treno arrivato un quarto d’ora dopo il nostro abbia definitivamente completato il gruppo; partiamo.
Al termine di Via Achille Vertunni, «largo Augusto Corelli angolo Via Dameta», come preciserà lui stesso, ci aspetta Lucio Conte. È membro del comitato di quartiere e ce ne racconta la storia. Spiega come recentemente sia stato proposto il progetto di riqualifica di una zona che di giorno è luogo di aggregazione grazie alla forza sociale delle scuola elementare, dell’oratorio, del mercato, delle nuove panchine poste lungo la strada, mentre la sera le strade si svuotano e vi si riversano l’insicurezza e il pregiudizio. Conosce le nostre camminate, e ci invita a aprire gli occhi e a guardarci intorno per intuire i nervi scoperti del quartiere. Mentre parla ci conduce al campo nomadi di Via Dameta, dove sarà accolto con sinceri saluti. Intanto Panagiotis ci stupisce con la sua idea di segnare il percorso con il logo del progetto; bombolette e stencil alla mano agisce velocemente in maniera sicura, lasciando sul marciapiede di Via Dameta due spirali rosse attraversate dal polimorfico acronimo GRA.
Anche Margherita “nastro celeste” sta mappando. (Abbiamo un’inusuale sovrabbondanza di nomi floreali, e lei è quella che mi ha suggerito il libro sull’artista sarda, Maria Lai, che nel 1979 “legò” il paese di Ulassai con chilometri di nastro di raso). Io ho già cominciato il mio caotico decoupage mentre lei, con la tranquillità e con il sorriso che la caratterizza, camminando traccia stilizzati ma chiari disegni in rosso su un foglio di carta da pacchi. È piacevole vedere come, man mano che capiamo i meccanismi, riusciamo a mettere qualcosa di nostro e di espressivo in quello che stiamo facendo.
Al campo rom veniamo accolti da piccole vedette attaccate alla rete di recinzione: «Chi siete? Siete usciti ora da scuola?», ci grida Madonna, nome impegnativo e pochi peli sulla lingua. Duccio ci presenta agli abitanti della prima casa in muratura, alla destra del cancello dal quale siamo entrati, che nella loro piccola ma ariosa veranda ci accolgono per raccontarci del campo e del probabile sgombero per destinare la zona all’ampliamento della A24 (La Roma - L’Aquila). «Sono persone che quando ci si sta insieme si sta bene», commenta Duccio prima di lasciarci. Un signore grosso, con i baffi, spiega che loro sono calderasha provenienti dalla serbia. Dice che nel campo sono 110, ma dopo averlo attraversato penso che debbano essere almeno il doppio.
Giacomo, fresco di una tesi sui campi rom di Roma, è di nuovo il nostro mediatore. Mi incuriosisce il fatto che stavolta ponga la domanda opposta a quella rivolta ai sinti giostrai:
- Perché non vivete in roulotte?
- Non siamo abituati.
In effetti la risposta di Giacomo, quando poco prima gli ho chiesto se già conoscesse il campo, mi ha sorpreso: «No, fortunatamente. Sennò me l’avrebbero annullata». Più tardi, mentre siamo seduti sotto una fresca veranda a bere la coca-cola che una famiglia rom ci ha offerto insieme alla possibilità di entrare nella sua villetta, continua: «Questo è un campo che non ha paragoni, è fuori dagli standard». Abbiamo appena attraversato quello che a prima vista potrebbe essere un rustico villaggio vacanze, dalla struttura semplice ma solo apparentemente essenziale. Se in altri campi visitati abbiamo appurato che l’acqua e la corrente non siano un diritto, adesso ci stupiamo mettendo il naso in grandi salotti con vetrinette e televisori a schermo piatto, notiamo le parabole in bilico sui tetti, invidiamo la vasca idromassaggio di un pulitissimo bagno in mattonelle bianche. Non voglio essere maleducata, ma chiedo se tale impeccabile organizzazione sia conseguenza di una riuscita integrazione con il quartiere, che magari vi ha collaborato. «Noi non chiediamo niente a nessuno, ci danno un terreno e ci costruiamo». Sinceramente non so cosa pensare. Non ero mai entrata in contatto con i rom così come è avvenuto in queste ultime settimane, ma nonostante le diverse e varie realtà incontrate quella di oggi mi lascia perplessa. E come me, molti altri.
Madonna sgranocchia semi di girasole, le “semenche”, buttandone a terra le bucce. Ne attacco un paio sulla mappa che lei completa con un disegno firmato da destra verso sinistra. Un ragazzo alle nostre spalle la prende in giro ma poi la giustifica: «Tra un po’ andrà a scuola. Prima andava a rubare».
Margherita ha aperto la sua mappa su un tavolo e i bambini aspettano il turno del pennarello rosso per disegnarci sopra. Simone, del quale eravamo stati avvisati con un «No, lui no, che ti disegna cose sporche», sta rifinendo una macchina accanto ai fiori di Alex e Madonna e ai cuori alati di Claudia e Giulia. Quando salutiamo i nostri ospiti Irene ne prende i contatti per coinvolgerli nel suo lavoro di tesi.
Claudia mi prende per mano e mi chiede se può scrivere il suo nome sulla mappa, e mi terrà compagnia durante quello che sarà un tour del campo. Le domando cosa abbia fatto la mattina a scuola, curiosità che la fa sentire in dovere di “insegnarmi l’Umbria”. Lei spiega e io devo ripetere, usando le sue stesse parole per non farla arrabbiare: capoluogo e provincia, caratteristiche fisiche, attività, prodotti tipici.. È esitante sulle regioni confinanti, ma poco dopo torna con la cartina che stanno componendo in classe. «Ho sbagliato, guarda. Scrivi bene. Confina con Abruzzo, Marche, Toscana e Lazio, ecco». Maria ci fa una foto mentre, come due vallette, reggiamo i lati della cartina, e Claudia mi lascia l’indirizzo perché gliela spedisca.
Usciti dal campo ci troviamo all’incrocio tra Via Delia e Via Villa Santa Maria. Passiamo davanti a una serie di villette, ordinate e curate, con tanto di barboncini abbaianti, siepi profumate, alberi da frutto e cespugli di fiori. Arianna mi convince a attaccare sulla mappa un pezzo della pesca acerbissima che sta mordicchiando. Sento il bisogno di comunicare che anche la mia nonna si chiama Delia, come la via, e concentrata come sono a discutere con Margherita (la terza, la “Margherita-studentessa” del corso di arte civica) dei nomi delle rispettive nonne non mi accorgo che al numero 106 di Via Delia siamo stati invitati per un caffè da due gentili signore che stanno lavorando carciofi, finocchi e melanzane per farli sott’olio. «Ma senti che mi chiede questa», si stupisce una di loro quando domando un paio di bucce per la mappa.
Giacomo è disperato:
- E dai Piccio, andiamo!
- Dove?
- A camminare! ma che è oggi?!
- Ma un caffè non si rifiuta..
Ripartiamo dopo che Valerio, uno dei nipoti, ha commentato la spiegazione del nostro giro con un «Ma voi siete scemi».
Costeggiamo il raccordo e passiamo sotto a un cavalcavia. Mi segno i nomi delle vie: Via Tufara, Via Fillide, Via Damone. Ora che scrivo mi sembra di ricordare che Fillide sia un nome leggendario e lo vado a cercare sulla garzantina Mitologia.
Nel farsi letteralmente strada tra un campo di altissime spighe (lunghe più di me che sono 1 metro e 68) rimango indietro con Matteo, Pietro e Margherita e ci imbarchiamo in una serie di considerazioni più o meno costruttive sul modo di comporre la mia mappatura fisica. Pietro commenta delicatamente le annotazioni di Matteo: «Ma che gli stai rompendo il cazzo per la grafica?», ma bene o male i tre “architetti” hanno una visione comune. Mi sono segnata le osservazioni fatte:
• Necessità di curare meglio la “base” della mappa. Disapprovano il cartoncino bianco in quanto troppo neutro, e le possibili alternative potrebbero essere un foglio con una grana più bella, una tavoletta di compensato, la cartina dell’area che stiamo percorrendo.
• Metodi di attaccatura: l’esubero di scotch trasparente è «una pecionata», troppo evidente e disordinato. Meglio, allora, usare del nastro adesivo colorato che almeno diventa elemento integrato della mappa. A quel punto funzionerebbero anche i biglietti atac come estremi del percorso, elementi che secondo Matteo stonano perché «eccessivamente definiti» rispetti agli altri assemblaggi. Margherita suggerisce un collante più minimalista come la spillatrice, ma le faccio notare che sarebbe utile solo per un numero davvero esiguo di elementi.
• Creare una composizione più ordinata, magari raccogliendo le tracce strada facendo e mettendole insieme in un secondo momento, studiandone la disposizione («Le cose più pesanti sul fondo»). A questo ribatto prontamente, perché se le osservazioni estetiche sono illuminanti e mi fanno riflettere, d’altra parte non voglio mutare lo scopo di comporre la mappa cammin facendo, vedendola “espandersi” a seconda della strada fisica e non. Penso che solo con questo metodo del “raccolto e attaccato” possa trasmettere quel qualcosa in più di mio, di estemporaneo, che si perderebbe se agissi “conservando e ordinando”.
Camminando Matteo rialza il sentiero d’erba da noi calpestata in modo da depistare Luca, che con la sua macchina fotografica in spalla rimane sempre in fondo. Finiamo nel parcheggio di un albergo Novotel, e mentre sono seduta in terra per mappare Giorgio mi richiama al mondo con un «Quanto mi dai per questo?». Sventola quella che sembra un’etichetta per valigie con su scritto un nome orientale, traccia dei pullman che riversano negli albergoni periferici folle di turisti. Ringrazio e attacco. Arianna con la pesca, il nostro cameraman, i tre “colleghi architetti” e le loro osservazioni: mi fa piacere pensare che gli altri partecipino al “gioco” che mi sta facendo percepire le camminate in modo diverso.
Costeggiamo il marciapiede del supermercato Metro della zona Collatina. La strada è molto trafficata, passano soprattutto camion e autotreni che alzano un continuo polverone. Noto che le siepi che fiancheggiano la cancellata di quella che sembra una fabbrica sono così polverose da sembrare spruzzate con lo spray argentato. Eppure devono essere state potate da poco perché nell’aria è forte l’odore di alloro e in terra ci sono mucchi di foglie non ancora secche.
La polvere e la terra secca, rossa e leggera, continuano nelle zone in costruzione lungo il raccordo. L’aridità di questo paesaggio fa da contrappunto ottico al bellissimo prato di fiori gialli di cui non vediamo nemmeno la fine. Ne attacco uno. Luca puntualizza che ce ne sono anche altri di colori diversi, ma le margherite “mi emozionano di più”.
Tra gli alberi di un boschetto incontriamo un ragazzo del gruppo di rumeni che qui si sono accampati in baracche di legna e teli di plastica e di stoffa. Matteo si informa: viene dalla Romania, dove sabato tornerà perché là ha moglie e figli.
- Ma quanti anni hai?
- 18.
Ha provato a cercare lavoro nei cantieri ma, più che al fatto che non lo prendano perché non parla bene l’italiano, credo che semplicemente abbia fatto due conti e dedotto che non gli è proficuo. Da quando è a Roma il chiedere le elemosina è «andato bene, non conviene fare altro», e spiega a Matteo dove lavora tutti i giorni. Ci fa vedere il passaporto e ci fa notare di non avervi fatto scrivere che è uno zingaro romeno.
Il lago visto sulla mappa si rivela poco più di un bozzo. Vorrei lasciare una traccia d’acqua sulla mappa ma quando sento dire che è passata una serpe mi convinco che non sia poi così importante.
Ci troviamo a camminare in un alto prato di trifogli, dove i piedi affondano come se fosse schiuma. La scia che lasciamo camminando tutti in fila mi richiama la rivoluzionaria arte di Richard Long e, ora che scrivo, la vado a ricercare sulla “bibbia” Walkscapes. Semplicemente, anche la nostra erba calpestata è A Line Made by Walking. Continuo a pensare a questa cosa mentre Fabrizio ci propone di sdraiarci tra i trifogli e di alzarci tutti insieme al suo segnale. Chiedo a Gabriele di fotografare la sagoma che ho lasciato e, guardandomi intorno, vedo che l’intero prato ospita i negativi dei nostri corpi. «Con il tempo la scultura sarebbe scomparsa» (H. FULTON, cit. in F. CARERI, Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Torino, Einaudi, 2006).
È una situazione di calma di riposo, e quando Piccio chiede se qualcuno vuole leggere una poesia procedo con quello che è diventato il “rito del nastro celeste”. Stavolta non è Maria Lai la nostra traccia, e leggo nel silenzio una poesia di Pasolini: « Correvo nel crepuscolo fangoso..». È un bel momento, mi emoziona. Lego il nastro celeste al fico cresciuto accanto alla grossa cisterna d’acqua davanti alla quale ci siamo fermati, giusto in tempo prima che un gruppo di cani abbaianti ci inducano a tornare indietro.
Panagiotis disegna il logo su un muro di cemento. Se fin’ora ha usato gli stencil, adesso agisce sul muro direttamente con lo spray. Usa quello con il getto fine per tracciare i contorni della spirale rossa, che riempie con la bomboletta dal tratto più massiccio. Lo guardiamo in silenzio.
Ci fermiamo a chiedere informazioni a un signore che sta lavorando nell’orto di casa.
- Ma quella è la Prenestina?
- Sì.
- E allora siamo arrivati!
- Beati voi!
Mi viene in mente lo sbalordito Pinocchio di Comencini quando, arrivato davanti all’inimmaginabile distesa d’acqua, chiede conferma di essere giunto nel posto giusto. Ho un vago infantile ricordo di quel film, e più ci penso e più mi convinco che tale scena, forse, me la sono solo immaginata.
In fondo allo stretto viottolo uscito dai campi c’è davvero la nostra meta. Non ci resta altro che avviarci verso il numero civico 913 dove ci aspetta Andrea, studente di Piccio e occupante dell’ex salumificio Fiorucci. Non ci neghiamo una pausa gelato al bar vicino a “La casa della luce”. Mi fa sorridere il fatto che l’“agognato” break avvenga accanto a una tale insegna così promettente e speranzosa.
“Mustafà e i quaranta ladroni” - nome, ci spiega Andrea, dato al turno di guardia - non vogliono farci passare e ricorriamo alla telefonata per farci venire a prendere al cancello della fabbrica. Arriva la nostra guida, entriamo.
«Nei pressi di Via Prenestina un ex impianto industriale è stato occupato da una cinquantina di persone e dai Blocchi Precari Metropolitani. La fama di case non tocca più solo i soggetti «storicamente» svantaggiati». L’articolo de “l’UnitàRoma” del 5 aprile 2009, uscito nove giorni dopo l’occupazione della fabbrica di salumi in disuso da più di vent’anni, mi fa leggere nero su bianco lo sconforto e le aspettative di cui Andrea ci racconta accogliendoci in uno spazio che si vuole strappare alla speculazione edilizia per far fronte a quel problema metropolitano di cui mi parlava Irene poche ora prima: di nuovo, ecco l’emergenza abitativa.
Il turno di guardia è seduto su una panchina appoggiata al muro, sulla sinistra dell’ampia strada interna per la quale saranno passati centinaia e centinaia di camion di maiali (entrando) e di salumi (uscendo). Sarà formato da una quindicina di persone tra le quali non mancano bambini su tricicli. La nostra guida è euforica, ci accoglie, ci presenta, ci spiega.
Andrea è un ciclone, una di quelle persone che puoi definire “un personaggio” e noi ci limitiamo a seguirlo. Il tour della fabbrica inizia da quello che oggi è il gabbiotto delle sentinelle e dalle stanze attigue adibite a dormitori. Il calendario copre l’intera giornata con turni di guardia di quattro ore ciascuno, e Andrea ride mentre ci spiega le tre tipologie dei “picchetti”, i turni di guardia. Il “marocchino” prende il nome dagli africani che durante il turno dormono sulle panchine all’aperto; l’”orizzontale” è quello di chi si accontenta della tradizionale brandina nel gabbiotto; “in piedi” è quello diurno.
Quando entriamo nella fabbrica vera e propria il caldo e gli escrementi di piccione ci tolgono il fiato. Gli ampi e alti saloni nei quali fino a una ventina d’anni fa si svolgevano le varie fasi di lavorazione delle carni ora sono bui e spogli, e non riesco ad immaginare i prossimi progetti che Andrea ci descrive velocemente ma con entusiasmo. Qua la biblioteca, là la sala studio, poi la sala per i computer, quella per i giochi, la zona musica, la zona relax.. Il tetto del complesso ha una ringhiera di ferro che si affaccia sul cortile, e Andrea vi si sporge a braccia aperte mugolando le famose note di Titanic. L’edificio al di là del muro che cinge l’ex fabbrica, che adesso, dall’alto, riusciamo a vedere, è un ex laboratorio chimico in cui dovrebbe nascere il vero centro sociale “figlio” dell’occupazione in corso. Piccio pensa ai rifiuti della vecchia attività e commenta: «Chissà che ci sarà la sotto..». Prima di scendere passando da una stretta porta arrugginita Andrea ci mostra fiero gli assemblaggi di tubi chiodati costruiti per bloccare le porte. Michele si lascia andare un «Ma queste sono macchine da guerra!». Torniamo nel cortile dove ci vengono spiegate le piccole ingegnosità dettate dall’arte dell’arrangiarsi: dalla parete si allunga un pratico tavolino, vecchi rottami sono stati trasformati in un funzionale barbecue, il tubo in ferro della fontanella fa dei giri contorti ma ne esce acqua fresca e potabile.
Andrea è pronto per la visita guidata ai blocchi abitativi ma mi arrendo, e con Maria e Giacomo diserto in cerca di un autobus. Sono stanca e “piena” delle tante cose fatte oggi e non riesco più a seguire il ciclone vivente che ci trascina da una parte all’altra della fabbrica. In più sono scontrariata dalla risposta sguaiata che Andrea mi ha dato quando gli ho chiesto quando la fabbrica fosse stata occupata. Ho capito che l’hai già detto più volte, vorrà dire che non go sentito. Insomma, come si dice dalle mia parti, “sto tirando il calzino” e divento irritabile. È meglio che mi riavvii verso casa.
La fermata del 501 è vicinissima, l’autobus passa subito e inizio il percorso di ritorno verso Porta Maggiore. Dato che l’ultima volta lo sentivo discutere con Maria su questo fenomeno di onnipresenza faccio notare a Giacomo che anche sulla Prenestina ci sono le indicazioni per l’Auditorium. «È incredibile, sono ovunque. E poi quando arrivi vicino un c’è più un cazzo». Anche ora che scrivo questa cosa mi fa sorridere..

FRANCESCA

mercoledì 20 maggio 2009

Prossimo appuntamento - mercoledì 27 maggio

Spostando di un giorno l'appuntamento fissato da calendario, ci vediamo MERCOLEDÌ 27 alle 15:07 (nuovo orario per evitare la calura) alla stazione di Roma Ciampino.
Il trenino parte da Termini alle 14:52.

Si raccomanda la puntualità perché siamo invitati al campo nomadi La Barbuta di Ciampino!

martedì 19 maggio 2009

Nastro celeste

13 maggio 2005
Ramo di fico nel campo di trifoglio dietro Via Prenestina, accanto alla cisterna

Correvo nel crepuscolo fangoso,
dietro a scali sconvolti, a mute
impalcature, tra rioni bagnati
nell’odore del ferro, degli stracci
riscaldati, che dentro una crosta
di polvere, tra casupole di latta
e scoli, inalzavano pareti
recenti e ormai scrostate, contro un fondo
di stinta metropoli.

Sull’asfalto
scalzato, tra i peli di un’erba acre
di escrementi e spianate
nere di fango - che la pioggia scavava
in infetti tepori - le dirotte
file di ciclisti, dei rantolanti
camion di legname, si sperdevano
di tanto in tanto, in centri di sobborghi
dove già qualche bar aveva cerchi
di bianchi lumi, e sotto la liscia
parete di una chiesa si stendevano,
viziosi, i giovani.

Intorno ai grattacieli
popolari, già vecchi, i marci orti
e le fabbriche irte di gru ferme
stagnavano in un febbrile silenzio;
ma un po’ fuori dal centro rischiarato,
al fianco di quel silenzio, una strada
blu d’asfalto pareva tutta immersa
in una vita immemore ed intensa
quanto antica. Benché radi, brillavano
i fanali d’una stridula luce,
e le finestre ancora aperte erano
bianche di panni stesi, palpitanti
di voci interne. Alle soglie sedute
stavano le vecchie donne, e limpidi
nelle tute o nei calzoncini quasi
di festa, scherzavano i ragazzi,
ma abbracciati fra loro, con compagne
di loro più precoci.

Tutto era umano,
in quella strada, e gli uomini vi stavano
aggrappati, dai vani al marciapiede,
coi loro stracci, le loro luci...

Sembrava che fino a dentro l’intima
e miserabile sua abitazione, l'uomo fosse
solo accampato, come un’altra razza,
e attaccato a questo suo rione
dentro il vespro unto e polveroso,
non fosse Stato il suo, ma confusa
sosta.

E chi attraversasse quella strada,
spoglio dell’innocente necessità,
perso dai secoli cristiani
che in quella gente si erano persi,
non fosse che un estraneo.

Pier Paolo Pasolini

Incontro 20 maggio ore 10

Se per qualche congiunzione astrale i nottambuli di arte civica inciampassero nel blog..domani mattina (mercoledì 20 maggio) alle 10 c'è l'incontro alla casa dell'architettura per chiacchierare un po' e allestire il nostro spazio! :)

lunedì 18 maggio 2009

Prossimo appuntamento: TRATTA 09 martedì 19 maggio

Appuntamento alle 13 a via Prenestina 913 (ex-fabbrica Fiorucci occupata)
autobus 508 (da Ponte Mammolo M B) o 501 (da largo Preneste)

venerdì 15 maggio 2009

sottocategorie

In questa sezione sarebbe bello raccogliere articoli di giornale che scrivano sui quariteri che abbiamo attraversato con quattro temi principali:
1)edilizia, cantieri, nuovi quartieri
2)movimenti cittadini
3)immaginario e mass-media (quello che ci vogliono far credere...)
4)roma, campi, spostamenti, sgombri


lunedì 11 maggio 2009

rendiconto narrativo uscita Tor di Nona 16.5.09

Termini 105 direzione Grotte di Celano

Qui comincia la tratta di oggi e la vera esperienza si ascolta e si guarda attraverso i finestroni del lungo viaggio in autobus che ci conduce fino all’appuntamento del sabato.

« Anteconjo » grida un bambino pakistano al suo fratellino da una parte all’altra della vettura e subito dopo inizia a canticchiare in un perfetto italiano. Dietro di me un mix di lingue si mescola al fragore degli autobus di Roma. Imbocchiamo la casilina e mi ritrovo a destra un fiume di baracche appiccicate all’antico acquedotto alessandrino e a sinistra botteghe ed elettrauti. In mezzo alla casilina ci sono le rotaie del tram Roma Laziali, il tram a due vetture giallo che da anni porta tantissimi romani dalle loro periferie al pieno centro, a breve (circa due anni) dovrebbe essere sostituito dalla famigerata terza linea metro di Roma, la C.

Fermata CENTOCELLE-PALMIRO TOGLIATTI

« Saremmo tutti dello stesso Dio» recita una scritta su uno striscione attaccato al tetto di un benzinaio dismesso, a lato si apre la vista su un accampamento che solo a tarda notte scoprirò essere il Casilino 900.

In questa parte di Roma completamente piatta non trovo punti di riferimento ; subito ad un bivio appaiono tre inicazioni una sotto l’altra, Viale Alessandrino, G.R.A , DECATHLON con una rande freccia dall’altra parte della strada la vernice bianca per terra disegna la scritta Roma centro.

Fermata TORRE SPACCATA

A desta il ristornte El Patio, quello tanto pubblicizzato per la sua Paella da RadioMambo , el ritmo dela vida. Passiamo sotto il GRA direzione Torre Angela. Un cartello recita ATTENZIONE, probabili code. « Mah va ?! »penso tra di me « ci vuole un cartello per sapere che tanto a Roma bisogna sempre farsi la coda, sopratutto sul GRA , che scoperta ! ».

Località GIARDINETTI

Si intravede la linea d’ombra dei castelli romani, il bordo della strada è cosparso di papaveri. A sinistra i palazzoni di Torre Angela o Tor Bella Monaca, non so.

CENTRO COMMERCIALE GROTTE CELONI

Ritroviamo il gruppo con Lorenzo che porta un cappello di paglia a falda larga e nella testa mi risuona il motivetto di « tutti al mare, tutti al mare a mostra’ le chiappe chiare… », ma alzo lo sgardo e vedo un campo completamente ricoperto da fiori gialli che mi ricorda che qua più che il mare c’era l’agro romano. Partiamo dal parcheggio dell’antica Fabbrica Breda, quella degli armameti della guerra ora capolinea degli autobus. Un camminante, definitosi economista riferisce che al bar dove ha preso l’acqua gli è piaciuta l’idea del nostro progetto, ma sono alquanto preoccupati per la scelta dei quartieri in cui passeremo tanto che subito dopo chiedono, « …ma siete armati ? » lui ride e proseguiamo.

Nel quartiere di Torre Gaia costruito per gli operai della fabbrica spuntano casette di due piani, con quatto citofoni a numero civico, bei giardini e orti coltivati di fronte il vialetto di casa. Quando attraversiamo le strade interne come una carovana e blocchiamo gli autisti del sabato tutti ci urlano dai finistrini « ma che ce sta’ ? » e noi di fretta rispondiamo che stiamo facendo una passeggiata lungo il GRA. Dalle macchine la risposta che mi ha stupito di più è stata quella di una nonnina in macchina con suo nipote : « Bravi, Bravi bisogna camminare ! ».

Entriamo nel consorzio del Parco di Torre Gaia superando un cancello a chiusura elettronica  con affisso un cartello di vendita per un appartamento di 90 mq a 299.000 euro. Il consorzio si sviluppa intorno alla via Labicana antica via Casilina, passiamo dal giardinetto di quartiere e ci ritroviamo nella verdure. Superato un piccolo rilievo ci ritroviamo su una spianata completamente recintata sovrastata da una croce immensa e sorvegliata da telecamere. Sicuramente di proprietà della Chiesa riconosciamo lo spazio dove il Papa ormai andato, Giovanni Paolo, fece i suoi concerti dei Papa boys nel Giubileo.

Passiamo per prati fino ad entrare all’interno del Policlinico di Torvergata, stacco la mia canna di bambù da un canneto prossimo a un rigagnolo d’acqua, e proseguiamo dentro cespugli di cardi per rientrare nel consorzio che avevamo lasciato poco prima. Sotto la recinzione orti ben coltivati con pomodori e insaltina rubano lo spazio al prato di nessuno che ci ha rallentato il cammino. Si passà alle palazzini con otto citofoni per civico, mi chiedo « ma esiste la definizione villette ottofamiliari ? ».

Usciamo dal consorzio dove a lato fa da guardia ungiovane portiere stanco per il continuo via vai. Passimo grazie al sottopasso  Torbella monaca la ferrovia e ci ritroviamo difronte al teatro omonimo. Qui incontriamo La rappresentante del coordinamento Case Popolari, una ragazza piena di energia con una bimba piccola, ma sveglissima vestita con una gonna a quadri. Si parla della sua precedente esperienza di occupazione come l’inizio dlela sua lotta per il diritto alla casa e delle violenze razziali del qurtiere. Quando la gente è disperata e non ha niente da perdere recepisce le cose che gli si racontano, le fandonie e tutto e si scaraventa con chi è come te solo più debole.si cerca di dare la colpa a qualcuno, aggredendolo. Il PEP del 1964 prevedeva dal 70-al 90% di case popolari concentrate in una sola zona attraverso la creazione di cooperative o la costruzione diretta da parte di imprenditori privati. Questo piano di zona ha dato vita a Ponte di Nona ed altri quartieri limitrofi, creando una zona ghetto. Altri progetti recenti come il teatro, che dovrebbe chiudere per mancanza di fondi, ci dice che non ha veramente attecchito tra la gente del quartiere. Come punto di incontro i suoi vicini preferiscono il supermercato, luogo di tanti episodi di « bullismo » come dice Alemanno.

Passiamo oltre, attraversiamo alcune case costruite attraverso cooperative incontriamo per caso uno degli architetti e ci scambiamo due parole. Al cassonetto vicino alcune ragazze trovano una macchinetta a pedali, un maggiolino rosso cabriolet. Appena lo vede Piccio pensa al compleanno di suo figlio che compirà presto tre anni e pensa a come portarlo con se fino a casa. Io ho la malsana idea di proporgli la mia sciarpa come guinzaglio ed inizia l’avventura del maggiolino portato a spasso come un cane per la città. La gente ride dai balconi e si stupisce della nostra follia, cosi facendo arriviamo in mezzo ai campi nel casale di un pastore che ci vende ricotta e pecorino fresco solo due ore dopo lo mangieremo.

Nel mentre ci si proccupa di come fare a passare dall’altra parte del raccordo visto che ci è stato rifiutata la richiesta di passare per un ponte, di proprietà privata che passa sopra il GRA. Si  guada un rivo d’acqua ben due volte prima di arrivare ai resti dell’acquedotto Alessandrino. Li accannto si staglia un meraviglioso viadotto che inizia tra gli olivi e termina nello stesso modo, così come monumento a quello che sarà il fututo di quei luoghi ora grano e in seguito cemento. Mangiamo all’ombra di vari lecci, seduti su una strada bianca accompagnati da vino bianco, caldo e il timore che arrivi qualcuno che ci distolga dal nostro banchetto delle 4.30 del pomeriggio. Infatti subito dopo averlo detto arriva un gregge enorme di pecore con pastore e cani maremmani al fianco che ci fa sloggiare e ci impedisce di risederci nello stesso punto per tutti i ricordi che hanno lasciato a terra. Ci spostiamo al sole dove il vino e la calura fanno i suoi effetti. Prima di sprofondare nell’abbiocco post-pranzo ci mettiamo in cammino…

Casolari abbandonati, pensieri che volano si inizia a parlare di occupazione, di Casilino 900, di Rom, del problema casa, di distanze fisiche, ma anche mentali tra quelle case e Roma. Eppure se ci si pensa bene quei casolari in mezzo al nulla, circondati da rigogliosa campagna,  in verità sono a due passi da via di tor di Nona, da Torbella monaca e ben presto si troveranno sommersi dalla città .

Passiamo campi coltivate a fave, dove un contadino non si stanca di ripeterci, « potete passare, ma non è un luogo di passaggio , mi fa piacere che passate, ma non è un luogo di passaggio … » e via cosi per circa due minuti a loop pronunciando sempre la stessa frase con lo stesso ritmo. Ridiamo tutti e ce ne andiamo verso il parco alessandrino. Ci accoglie un ritmo di tamburi africani : djambé, tarabuche e altro. Sostiamo un momento all’ombra dell’acquedotto cercando di ascoltare le parole del comitato per la difesa del parco, male orecchie sono completamente assorbite da quel ritmo primitivo. Ci avviciniamo a delle donne marocchine che suonano e ballano animatamente, tanto da coinvolgere tutti nella loro follia. Bambine quasi tarantolate agitano forsannatamente il bacino e i capelli al vento al suono delle percussioni e delle lingue che si agitano in suoni mistici.

Per concludere la nostra passeggiata arriviamo al casilino 900…entriamo prima io Giulia e Caterina, facciamo in tempo a essere avvicinate da un gruppo di bambine che ci getta petali di rosa, a ricevere una proposta di matrimonio e a essere accusate di essere giornaliste o poliziotte prima che tutto il gruppo ci raggiunga per concludere il nostro viaggio banchettando al tavolo con i rom.Alla fioca luce dei fari della macchina, mangiamo pecora, olive, pane e formaggio accompagnati dalla fuliggine di quelle case bruciate da pochi giorni su cui ci stiamo confrontando.

« Speriamo che dalla cenere nascono dei fiori e non resti solo il fango in questo campo » continuo a ripetermi nella mia testa. Ci allontaniamo per ritornare a casa alcuni a piedi altri su un cargo caricati come un braco di pecore o soldati pronti per la guerra. Accompagno mano nella mano una bambina di Torbella Monaca che è venuta a cenare con noi. Il suo timore più grande non è quella verso i roma, ma sono le sue bellissime scarpette nuove, bianche che non devono tornare a casa sporche altrimenti la mamma la prenderà a cinghiate.

Forse sarebbe più libera a correre scalza in mezzo al « pattume » come lo chiamava lei del campo piuttosto che vivere in quel terrore con cui dovrà confrontarsi vista l’enorme quantità di melma accumulatesi sulle sue scarpe.

martedi 12 maggio aquario romano ore 11

Michele e io abbiamo pensato che è necessario far vivere lo spazio dell'acquario romano per poter discutere gurdandosi degli occhi e poter iniziare ad avere un'idea sul da farsi.
L'idea è quella di incontrarsi durante la settimana o il martedi o il mercoledi che non si cammina in maniera tale da avere una certa continuità anche con le persone che magari il mercoledi/martedi hanno lezione.

ci si vede domani alle 11 per tutti quelli che vogliono venire a fare un punto della situazione nel giardino dell'acquario romano o per chi fa più tardi al primo piano nello spazio assegnato a stalker.
a domani Marghe

giovedì 7 maggio 2009

Mappatura fisica

5 maggio 2009


LEGENDA

Biglietto atac: appuntamento all’incrocio tra Via Nomentana e Via di Casale San Basilio. Raggiungo il ritrovo spostandomi con la metro da Termini a Rebibbia e prendendo lì l’autobus 343.
Carta per alimenti, scottex, fili d’erba: pic-nic nei giardinetti di Via di Casale San Basilio.
Erba secca: attraversiamo il prato tagliato da poco.
Sasso: percorriamo un sentiero di ghiaia.
Corteccia: scavalchiamo una rete metallica sorretta da pali di legno.
Escremento di pecora: attraversiamo una vasta zona erbosa dove pascolano pecore e capre.
Foglio deteriorato: traccia dell'improvviso diluvio.
Papavero e margherita: dopo la pioggia, attraversiamo nuovamente colline erbose con fiori di campo.
Macchia di cioccolato: nel quartiere di Casale San Basilio Vecchio, Margherita si compra un bombolone ripieno.
Petalo di rosa, rametto da siepe, molletta per panni: passiamo in una zona residenziale, molto tranquilla, con villette dai giardini curati.
Cima di canna di bambù: attraversiamo un canneto.
Depliant di supermercati: passiamo sotto i portici di una serie di palazzi con le cassette della posta esterne.
Tappi: costeggiamo la strada del quartiere, passando vicino a bar e piccoli negozi.
Proiettili di pistola a aria compressa: campo di sosta di un gruppo di rom sinti giostrai.
Frammento tufaceo e alga: laghi artificiali per la pesca di trote.
Frammenti di parabrezza: Via di Tor Cervara è molto trafficata.
Fango: strada allagata all’incrocio tra Via di Tor Cervara e Via Comasta. Camminiamo rasenti al ciglio della strada ma è molto scivoloso.
Biglietto atac: ritorno verso casa. Tratta La Rustica Città-Roma Tiburtina. Da lì prenderò la metro per Termini.

FRANCESCA

Rendiconto narrativo

5 maggio 2009
Tratta 7

Oggi mappo. Mi sono trasferita da pochi giorni sulla Via Appia e il primo giro nel quartiere è stato in cerca di una cartoleria. Nello zaino metto due cartoncini bianchi, pennarelli, scotch, spillatrice, macchina fotografica, taccuino e penna. La settimana scorsa ho fatto l’errore di dire a Margherita, quasi con superbia, che «io non faccio mappe perché non sono un architetto». Ci siamo addentrate in un’animata chiacchierata tra le colline terrose dietro l’area commerciale di Porte di Roma, dove mi sono aperta a una nuova visione della cartografia. Il “rimprovero” della mia collega architetto mi ha spinto oltre quella pretesa di oggettività che io ritenevo primaria e che, non avendo le competenze per rispettarla, mi faceva affermare la mia impossibilità a mappare i nostri percorsi. Spinta da una dose di orgoglio e dalla voglia di mettermi in gioco sfruttando le personali capacità ho pensato di attaccare e riportare su un cartoncino bianco A4 i segni del cammino, in modo da avere tracce “fisiche” dei diversi terreni percorsi e delle loro conformità, delle realtà incontrate, delle attività svolte. Francesco, il mio ragazzo che oggi era in viaggio per partecipare a un convegno a Genova, telefona mentre mi sto ingegnando a “scotchare” sul foglio un escremento di pecora; sinceramente mi vergogno un po’ e la butto sul ridere: «Sono una ragazza seria eh io, sono all’università, mica come te che stai andando in vacanza in Liguria!». Anche a Giorgio, quando mi chiederà di spiegare alla telecamera cosa sto facendo, dirò che mi sono attrezzata per la mia “mappatura da bambina dell’asilo”. Mi accorgo di sminuire la cosa, ma in realtà sono molto contenta di ciò che sto facendo. Mi sembra di aver trovato il mio modo “non letterario” di rendicontare mostrando che «io sono qui», «io partecipo».
L’appuntamento è alle 13 all’incrocio tra Via Nomentana e Via di Casale San Basilio. Il gruppo è in ritardo perché ha aspettato gli studenti americani che oggi si uniranno a noi. Siamo tantissimi e “colorati”, e già ci mescoliamo mentre pranziamo nei giardinetti del quartiere. Subito dopo ripartiamo; obiettivo della tratta è quello di arrivare sulla Tiburtina dopo aver attraversato l’Aniene. Piccio e Panagiotis trovano un lungo tubo di plastica bianco e improvvisano un salto con la corda al quale gli americani partecipano con sorpresa e divertimento. Non ho capito come siano entrati in contatto con Piccio che li ha invitati a prendere parte alla camminata, ma sono ragazzi che frequentano a Washington un corso di fotografia e staranno in Italia per un altro paio di settimane prima di partire per Bruxelles. Hanno pressappoco la nostra età e Luca confessa che sarebbe bello fare fotografie a loro che fotografano: sembra che ogni cosa li emozioni, si sciolgono davanti a un vecchio triciclo e si fermano in gruppo davanti a una scuola per immortalarne la vecchia insegna. È un piacere vedere la passione che ci mettono e, come se fosse merito mio, mi sento un po’ fiera di poterli far partecipare alla tratta.
Scavalchiamo una rete sorretta da pali di legno per addentrarci in una zona erbosa confinante con il giardino di un paio di villette. Un pastore con capre e pecore, che scappano nel polverone appena ci avviciniamo, ci chiede se più tardi ripasseremo. «No, non si torna mai indietro». Il tono di Pietro è molto convinto.
Premesso che siamo partiti con un sole splendente in un cielo terzissimo, adesso cominciamo a scappare verso il grande prefabbricato che intravediamo oltre la collinetta perché dietro di noi sta avanzando il temporale. Gli americani corrono e ridono, ma quando riprenderemo a camminare sotto la pioggia un gruppo di loro si avvierà verso l’autobus. Facciamo appena in tempo a disporci in fila sotto la tettoia di quello che, dalle grandi vetrate, sembra essere un ristorante deserto che arriva il diluvio. Il cartoncino bagnato è la traccia che la pioggia ha lasciato sulla mappa. Mentre aspettiamo che spiova chiacchiero con una delle professoresse degli studenti americani. Insegna francese, e mi dpmando se parli un inglese chiaro e lento proprio perché abituata al “dialogo didattico”. Mi chiede cosa stia studiando, come mai non abbia continuato l’università a Firenze, cosa vorrei fare dopo la laurea. Conosce poco Stalker e cerco di spiegarle l’ideologia alla base del nostro percorso. Il mio inglese non è troppo sciolto ma mi si illuminano gli occhi quando alzando le spalle, sorridendo e guardando la pioggia che ancora ci immobilizza esclama «Evenif we don’t walk, it’s Stalker too».
Appena possiamo riprendiamo a camminare verso le villette e i vicoli di San Basilio vecchio. Il quartiere è così “preciso” e grazioso che mi ricorda le case rosse della Garbatella. Continua il maltempo. Pietro, dirigendo il cielo rimbombante, si esibisce nella Sinfonia tuoni e lampi n.2.
Passando da Via Senigallia e Via Fabriano attraversiamo ancora una zona residenziale, con aiuole ordinate e biciclette vicino ai portoni. Per strada non c’è nessuno a causa del maltempo, e mi colpiscono i nomi di città date alle vie perché a molte di loro associo un ricordo piacevole. A Fabriano, in gita con l mia famiglia, comprai un foglio di carta filigranata che regalai alla maestra Cristina.
Noto adesso che Panagiotis e Piccio continuano a trascinarsi dietro il tubo che abbiamo utilizzato per il salto della corda. Sarà lungo tre metri e se ne sono infilati un’estremità ciascuno nella tasca dei jeans. Quando camminano vicini se lo lasciano scorrere dietro come se fosse una rete da pesca, mentre se uno dei due precede l’altro sembrano legati da un lungo cordone ombelicale. Ogni tanto qualcuno inciampa o ci mette un piede sopra, generando l’occhiataccia dei due. Mi fanno venire in mente lo sketch di Aldo Giovanni e Giacomo quando inscenano i passatempi di tre gemelli nell’utero materno.
Per passare da una zona residenziale all’altra attraversiamo un canneto che la pioggia ha trasformato in un lago di fango. Un ragazzo americano mi fotografa le scarpe che ormai hanno una seconda spessa suola di terra, tanto che faccio fatica a camminare.
Attraversata Via Girolamo Mechelli arriviamo in Via Domenico Cosilia, dove in uno spazio sul bordo della strada sono parcheggiate una decina di camper. Lo spirito di curiosità, conoscenza e socializzazione non ci fa esitare e ci addentrarci nell’area di sosta. Fabio, che sotto un tendone sta aiutando la moglie a pulire le trote, si trova circondato, e lo assaliamo di domande mentre guardiamo divertiti i “residui” di giostre sparsi tra le casette. Sono un gruppo di rom sinti giostrai in sosta a San Basilio da 13 anni. Nella bella stagione girano le fiere d’Italia, mentre in inverno si dedicano alla raccolta del ferro. Mi sembra di capire che Giacomo abbia fatto una tesi sui campi rom di Roma, ma non era a conoscenza di questo piccolo aggregato che, prosegue Fabio (del quale noto l’accento calabro-romano) è piuttosto intergrato con il territorio e con gli abitanti del quartiere.
«Non vorresti vivere dentro una casa?»
«No, non siamo abituati. Una casa con terreno magari sì, ma una palazzina..»
Camminando, Michele mi spiega le famiglie rom presenti in Italia. I Sinti giostrai sono gli unici in Italia che mantengono il nomadismo, conservando magari una postazione fissa ma spostandosi per il lavoro estivo. Mi faccio raccontare dei fatti di Testaccio, dove nell’aprile 2007 i rom sono stati sgomberati fuori dal Campo Boario, ovvero dall’area dove iniziarono i lavori per la Città dell’altra economia. Alcune famiglie si spostarono a Saxa Rubra, ma molte di quelle con bambini, che frequentavano le scuole di zona, si accamparono sul Lungotevere fino allo sgombero definitivo dell’anno successivo. I fatti di Testaccio sono stati, nel loro genere, i più “noti” della città. Michele sostiene il fatto che quello fosse il campo rom più centrale della capitale, e che i suoi abitanti avessero stabili rapporti di convivenza con il quartiere. «È stato rotto un sistema che funzionava. Tutto questo è stato paradossale: fare la Città dell’altra economia..dove un’altra economia c’era già!».
Intanto siamo arrivati a Via di Tor Cervara, ampia strada trafficata che ci costringe a camminare in fila indiana. Raccolgo dei frammenti di parabrezza: testimonieranno una viabilità non sempre scorrevole e regolare. Giriamo a sinistra verso i laghi artificiali. Impressionanti. Ci troviamo davanti due laghi che si insinuano tra le cave di tufo e il verde del prato, e il “baretto” in legno sembra completare perfettamente quella che dalla strada sembra un’immagine uscita da Tom Soyer. Anche l’ultima uscita si è conclusa con la nostra ammirazione della cave di tufo lungo la Roma-L’Aquila. Mi impressiona il colore caldo e le forme morbide, il loro ergersi all’improvviso nel nulla; sembrano ponti di roccia dai bordi levigati.
All’incrocio tra Via Cervara e Via Comasta la strada è allagata, e all’iniziale «oooh» di ammirazione segue un «aaah» con arretramento appena un’auto, passando veloce, alza un’onda di acqua non limpida. «This is the best I’ve ever seen!», commenta uno degli americani.
Proseguendo su Via di Cervara intrattengo un'intellettuale conversazione con i due erasmus a proposito dei versi degli animali che cambiano nelle varie lingue. Siamo stanchi, però ora so che il cane e il gatto spagnoli fanno wolf e miau.
Arriviamo alla stazione La Rustica Città e, fra tutti, siamo un po’ provati. Davanti a un cumolo di copertoni abbiamo subito abbandonato l’idea di costruire una piramide che testimoniasse il nostro passaggio e, tra di noi, scema la voglia di concludere la giornata con un aperitivo. Ci accasciamo scompostamente sulle panchine e sul muretto della stazione, aspettando il treno delle 20:05 che ci porterà a Roma Tiburtina. Un gruppo di giovani “autoctoni” ci guarda e ci commenta tra l’ironico e l’incuriosito, e la cosa ci “accende” nuovamente. «Ma guarda che so tutti zozzi de tera!»; «Per me avete scelto il posto più peggio de Roma a stare qua».
Cominciamo a lanciare sfide: salto alla corda? (con il nostro tubo, ovviamente). Tiro alla fune? Ci fondiamo e ridiamo di nuovo mentre ben tre persone riescono a saltare contemporaneamente il tubo che sferza l’aria. Io non salto; questo, davvero, non lo so fare. Intanto però appiccico proiettili, vetri e tappini su un cartoncino ormai umido e mi sento un po’ meno “bambina dell’asilo”.

FRANCESCA