domenica 24 maggio 2009

RENDICONTO NARRATIVO

19 maggio 2009
Tratta 9 (da Via Prenestina 913 alla stazione metro Cinecittà)

Vado o non vado? Non vado. È tardi, l’appuntamento è alle 13 in Via Prenestina 913, dove ci siamo salutati la settimana scorsa, ma alle 12:30 sono ancora a casa un po’ avvilita. Francesco insiste per accompagnarmi in scooter e intanto chiamo Margherita (quella da poco laureata a architettura a Valle Giulia) per chiederle di aspettarmi. Il fatto che mi risponda con una voce tranquilla e solare mi fa sentire sollevata.
Io e Francesco ci fermiamo in edicola dove compro una copia di Repubblica: sensibilizzata dalle considerazioni dei colleghi architetti ho deciso che oggi mapperò usando come base la prima pagina del giornale. Cosa ci può essere di più attuale, fresco, “vivo”, quotidiano..del quotidiano del giorno?!
Arrivati a Via Prenestina noto che “il gruppo del martedì” è veramente ridotto, le persone riparate sotto l’ombra di un pino sul ciglio della strada si contano sulla punta delle dita: Margherita, Piccio, Lorenzo, Giulia, Azzurra, Laura, Giacomo, Panagiotis e Giorgio. Sto per mettere il casco sotto la sella del motorino quando Francesco mi porge sorridendo il suo vissuto Tuttocittà, proponendomi di “arredarlo” con la mappatura del percorso. «Così partecipo un po’ anch’io..». Sono contenta, mi fa piacere.
Dopo il rituale caffè post pranzo decidiamo di partire, appurato che ormai non ci raggiungerà più nessuno dei nostri. L’afa di questa pazza primavera si fa sentire, anche perché ormai ci muoviamo sotto il sole delle 14. Piccio presenta il programma del giorno proponendo di arrivare alla Tuscolana con «un attraversamento veloce e possibilmente all’ombra», cosa sulla quale ci trova tutti d’accordo. Imbocchiamo Via Cesare Tiratelli e noto i nomi dei negozi e dei grandi rivenditori che si succedono in fila: Arredamenti Aventino, Scarpa Mondo, Decathlon. Intanto Margherita osserva che, tra di noi, quattro persone su nove hanno i sandali. Visto le passate tratte penso che la loro non sia stata una scelta saggia..
Non abbiamo ancora percorso 100 metri che vediamo correre dietro a noi un ragazzo a petto nudo che brandisce con la destra una spada giocattolo e con la sinistra sventola un manifesto. «Ma che è Andrea?!». Sì, è Andrea. Che fosse un personaggio particolare l’avevo profondamente intuito la settimana scorsa quando ci ha guidato nell’ex salumificio Fiorucci occupato, e probabilmente non avevo bisogno che lo confermasse ulteriormente. Ci raggiunge, si unisce a noi, e nel giro di un quarto d’ora ci lascia senza parole. Decantato il manifesto del G8 2009 racconta le sue avventure con i magrebini, si arrampica su una cisterna d’acqua, falcia con la spada le alte spighe del campo in cui iniziamo a camminare, entra in una vecchia roulotte arrugginita, apprende il programma del nostro vagare e comincia a gridare ridendo: «A Piccio, ao’, ma ‘ndo stiamo andando? Chi siamo? Cosa facciamo? Cosa portiamo? Un fiorino! Quando monti questa mettici sotto l’armata Brancaleone!». Giorgio ride: «Oggi l’uscita è tutta dedicata all’autoctono».
Stiamo camminando tra le spighe e i papaveri: gli allergici consumano un fazzoletto dopo l’altro e Andrea, che ricordo essere a petto nudo così come è arrivato, ha la pelle irritata chiazzata di rosso. Maledico la disorganizzazione della giornata che mi ha fatto dimenticare a casa la pezzuola per la testa. Il terreno è leggermente in salita, e appena comincia a scendere ci appare davanti uno dei paesaggi più belli che abbia mai visto in vita mia. Dopo più di un anno a Roma ancora mi emoziono a passare di sera lungo i fori imperiali, o a alzare lo sguardo sulle statue di San Giovanni che si intravedono da Piazzale Appio, oltre le torrette della porta. I resti dell’acquedotto romano che ora si presentano tra il giallo delle spighe, imponenti nella loro mole mutilata dal tempo, è un’altra delle immagini che mi sorprendono e mi fanno dire: «Ma dove vivo?».
Per evitare un campo coltivato camminiamo sulla striscia esterna di terra arsa, a zolle scomposte, tanto che a Laura sembra di fare un «massaggio plantare». Ci fermiamo all’ombra per prendere fiato e far finta di dissetarci con gli ultimi sorsi di acqua calda delle nostre bottiglie. Lorenzo ci spiega come i terreni che stiamo attraversando siano stati confiscati alla famiglia Sereni in base alla Legge 167 del 18 aprile 1962, sulle “Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare”. I progetti iniziali prevedevano l’organizzazione dei terreni in un’azienda agricola e in un parco archeologico, ma su internet non riesco a trovare informazioni più precise. Nel silenzio Andrea recita una poesia sulla Russia del 1986 scritta da un certo «padre di Duccio», soggetto menzionato spesso da lui e Piccio e che ora è presentato come un «poeta dadaista».
Dopo la pausa tra l’erba secca arriviamo al limite del terreno e chiediamo al pastore che vive nella confinante tenuta se può farci passare. Ci informa che siamo alla Tenuta Staffieri (e non a Torre Mistica, come pensava Lorenzo) e ci permette di riempire le bottiglie a una pompa del giardino. Sbuchiamo in Via degli Scriccioli, per la quale ci immettiamo in Via dei Ruderi di Casa Calda; dopo l’attraversamento dei campi striamo tornando alla civiltà. A Piazzale delle Paradisee ci sediamo all’ombra lungo il marciapiede. Laura pensa a alta voce: «Certo è incredibile eh. Là aperta campagna, e qua..».
A Via delle Averle 10 Andrea ci fa conoscere Torremaura occupata, spazio che a Gennaio ha festeggiato 17 anni di autogestione. Giacomo si stupisce di un tale compleanno: «A 20 anni scatta l’usucapione?!». Sì, se avessero pagato le bollette o avessero dimostrato in qualche modo “istituzionale” di abitarci. Ciò non è stato fatto perché è mancato proprio l’interesse a ottenere la proprietà, dato che non era quello lo spirito e l’intento con cui è partita l’occupazione. Oggi Roberta, Daniele e Valentina, con cui parliamo, definiscono il loro non un centro sociale ma uno «spazio abitativo occupato, in cui si svolgono iniziative di vario genere». Mi faccio dare il flyer dell’evento di giovedì 21, serata sushi vegan. Intanto Giacomo ha preso confidenza e chiede di poter preparare un caffè; quando Margherita si avvicina ai fornelli per aiutarlo legge la definizione che vi è appesa e ne rimane così colpita dalla sua chiara semplicità da trascriverla sul mio blocchetto:
Ricordate: camminare vuol dire mettere un piede dopo l’altro senza superare i 3 Km/h altrimenti diventa corsa.
Daniele ci fa visitare la stanza adibita a laboratorio di serigrafia, dove sono appese le recenti magliette fatte. Azzurra si prenota per andarli presto a trovare.
Rinvigoriti dal sorso a testa di caffè siamo pronti a ripartire e Valentina declina fermamente l’invito a venire a con noi: «Ma non ci penso proprio!». Anche Andrea sembra essere dello stesso parere, e dopo essersi fatto una doccia con nonchalance ci saluta mentre noi proseguiamo verso Anagnina.
Via Giglioli dovrebbe portarci direttamente alla Casilina e la imbocchiamo. Mi fermo a cogliere un paio di nespole dai rami che si sporgono da un giardino. Penso a quando le ho mangiate l’ultima volta, due settimane fa alle Cinque Terre, allungandoci in maniera poco elegante oltre il cancello di un giardino. Il giorno dopo, a un banco di frutta a Monterosso, le vendevano a 6,5 euro il chilo ma io e Francesco non abbiamo resistito e le abbiamo comprate lo stesso. Anche nel campo dei miei nonni è piantato un grosso nespolo dalle foglie scure, ma ora che lo rimpiango penso che nessuno dei nipoti ha mai apprezzato quei frutti stagionali dai semi troppo grossi.
Entriamo nel caseggiato numero 54 e ne costeggiamo il cortile interno. Sono le case popolari di Torre Maura, costruite nel 1983, cinque complessi intorno a un verde giardino dall’erba curata. Camminando tra il verde mi colpisce qualcosa che riluccica e raccolgo un frammento di specchio. Ci affacciamo tra la trama di fili colorati che fungono da porta al garage-negozio di Giuseppe, parrucchiere di Monreale, arzillo signore sulla sessantina che Panagiotis non riesce a convincere per un taglio di capelli sul momento.
Tagliando per un tratto erboso sbuchiamo sulla Casilina in corrispondenza dell’area di lavoro per gli scavi della linea C, proprio davanti al palazzo in mattoncini rossi (come il mio a Pistoia, che però li ha gialli) sormontato dall’insegna Renault. Alla nostra sinistra si alza una rampa del raccordo, in corrispondenza della uscita 18 (Autostrada per Firenze; Roma centro; SS Casilina).
Attraversiamo di corsa i binari del trenino che dovrebbe arrivare a Giardinetti, e arrivati dall’altro lato della strada noto un’indicazione per l’Auditorium. Penso al discorso di Giacomo della settimana scorsa e glielo faccio notare.
In Via Barbetti Piccio mi porge una figurina del cartone Disney Madagascar 2. Via Lippo Magli costeggia il raccordo e alla nostra sinistra si susseguono una serie di grossi negozi; entriamo da Arredo Bagno chiedendo di poter salire sul tetto per vedere il GRA dall’alto e la signora ci conduce a una scala in ferro sul retro che, se proprio non ci permette la visuale che cercavamo, ci lascia soddisfatti. Nel grande negozio dove regna la ceramica bianca scorrazzano conigli nani e, sul bancone, accanto alla cassa, c’è una ciotolina di noccioline. La proprietaria è disponibile e gentile, e le chiede di “mapparsi” lasciando sul Tottocittà il timbro del negozio. Lei mi ringrazia.
All’altezza del centro commerciale La Romanina ci avventuriamo tra un recinto verde dall’alta erba poco rassicurante, tanto che Piccio consiglia di camminare in fila: «Non vorrei inciampare in un cadavere». Laura, che già si era strappata i pantaloni di lino celesti scavalcando la rete, ora li ha praticamente ridotti a brandello. Vediamo poco lontano delle baracche di legna e plastica e gridiamo per farci sentire. Una ragazza romena, che poi si rivelerà sbrigativa nella chiacchierata perché a telefono con la madre, ci fa cenno di poter passare.
Continuiamo a costeggiare il raccordo tra i giardinetti condominiali di Viale Ciamarra; dall’altra parte del raccordo si staglia il casermone dell’Università di Tor Vergata.
Arriviamo in Via Leopardi 34 e ci fermiamo alla parrocchia di San Giuseppe Moscati, un edificio in stile Michelucci-kitsch con tanto di colonne esterne scanalate. Il cortile è luogo di ritrovo di bambini e Piccio mi porge una carta da Uno con il numero nove.
Ormai siamo arrivati alla meta e ci sentiamo in dovere di fermarci al forno di Via Ciamarra 49 per dividere un paio di bottiglie di birre e di coca-cola seduti ai tavolini sul marciapiede. Giacomo telefona a Roberta, ex studentessa di Piccio, che sebbene stanca per la giornata di tirocinio, svolge con piacere il ruolo di autoctona di quartiere. Ci dice che ha sempre vissuto qui, e indicando la pista ciclabile in costruzione che intravediamo dall’altra parte della strada confessa che «hanno un po’ preso un abbaglio» e la ritiene superflua. Continua dicendo che con la costruzione della nuova area sportiva vicina alla Tuscolana, comprendente piscine, campi da tennis, punti ristoro e un parco all’aperto, il quartiere si è arricchito di «un buon centro d’aggregazione che prima mancava».
Siamo ancora rilassati e poco propensi a ripartire ma salutiamo Roberta e facciamo l’ultimo sforzo per raggiungere Cinecittà, dove Giorgio tenta di farci entrare e Panagiotis dichiara che anche lui vuole diventare «un star». Da lì prendiamo la metro in direzione Termini e crolliamo sui sedili arancioni. Nell’ultima pagina di annotazioni del taccuino leggo la pizzeria di Piazza Santa Maria Ausiliatrice e le gelaterie nei paraggi che Giacomo mi consiglia per la cenetta serale.

FRANCESCA

Nessun commento:

Posta un commento