lunedì 11 maggio 2009

rendiconto narrativo uscita Tor di Nona 16.5.09

Termini 105 direzione Grotte di Celano

Qui comincia la tratta di oggi e la vera esperienza si ascolta e si guarda attraverso i finestroni del lungo viaggio in autobus che ci conduce fino all’appuntamento del sabato.

« Anteconjo » grida un bambino pakistano al suo fratellino da una parte all’altra della vettura e subito dopo inizia a canticchiare in un perfetto italiano. Dietro di me un mix di lingue si mescola al fragore degli autobus di Roma. Imbocchiamo la casilina e mi ritrovo a destra un fiume di baracche appiccicate all’antico acquedotto alessandrino e a sinistra botteghe ed elettrauti. In mezzo alla casilina ci sono le rotaie del tram Roma Laziali, il tram a due vetture giallo che da anni porta tantissimi romani dalle loro periferie al pieno centro, a breve (circa due anni) dovrebbe essere sostituito dalla famigerata terza linea metro di Roma, la C.

Fermata CENTOCELLE-PALMIRO TOGLIATTI

« Saremmo tutti dello stesso Dio» recita una scritta su uno striscione attaccato al tetto di un benzinaio dismesso, a lato si apre la vista su un accampamento che solo a tarda notte scoprirò essere il Casilino 900.

In questa parte di Roma completamente piatta non trovo punti di riferimento ; subito ad un bivio appaiono tre inicazioni una sotto l’altra, Viale Alessandrino, G.R.A , DECATHLON con una rande freccia dall’altra parte della strada la vernice bianca per terra disegna la scritta Roma centro.

Fermata TORRE SPACCATA

A desta il ristornte El Patio, quello tanto pubblicizzato per la sua Paella da RadioMambo , el ritmo dela vida. Passiamo sotto il GRA direzione Torre Angela. Un cartello recita ATTENZIONE, probabili code. « Mah va ?! »penso tra di me « ci vuole un cartello per sapere che tanto a Roma bisogna sempre farsi la coda, sopratutto sul GRA , che scoperta ! ».

Località GIARDINETTI

Si intravede la linea d’ombra dei castelli romani, il bordo della strada è cosparso di papaveri. A sinistra i palazzoni di Torre Angela o Tor Bella Monaca, non so.

CENTRO COMMERCIALE GROTTE CELONI

Ritroviamo il gruppo con Lorenzo che porta un cappello di paglia a falda larga e nella testa mi risuona il motivetto di « tutti al mare, tutti al mare a mostra’ le chiappe chiare… », ma alzo lo sgardo e vedo un campo completamente ricoperto da fiori gialli che mi ricorda che qua più che il mare c’era l’agro romano. Partiamo dal parcheggio dell’antica Fabbrica Breda, quella degli armameti della guerra ora capolinea degli autobus. Un camminante, definitosi economista riferisce che al bar dove ha preso l’acqua gli è piaciuta l’idea del nostro progetto, ma sono alquanto preoccupati per la scelta dei quartieri in cui passeremo tanto che subito dopo chiedono, « …ma siete armati ? » lui ride e proseguiamo.

Nel quartiere di Torre Gaia costruito per gli operai della fabbrica spuntano casette di due piani, con quatto citofoni a numero civico, bei giardini e orti coltivati di fronte il vialetto di casa. Quando attraversiamo le strade interne come una carovana e blocchiamo gli autisti del sabato tutti ci urlano dai finistrini « ma che ce sta’ ? » e noi di fretta rispondiamo che stiamo facendo una passeggiata lungo il GRA. Dalle macchine la risposta che mi ha stupito di più è stata quella di una nonnina in macchina con suo nipote : « Bravi, Bravi bisogna camminare ! ».

Entriamo nel consorzio del Parco di Torre Gaia superando un cancello a chiusura elettronica  con affisso un cartello di vendita per un appartamento di 90 mq a 299.000 euro. Il consorzio si sviluppa intorno alla via Labicana antica via Casilina, passiamo dal giardinetto di quartiere e ci ritroviamo nella verdure. Superato un piccolo rilievo ci ritroviamo su una spianata completamente recintata sovrastata da una croce immensa e sorvegliata da telecamere. Sicuramente di proprietà della Chiesa riconosciamo lo spazio dove il Papa ormai andato, Giovanni Paolo, fece i suoi concerti dei Papa boys nel Giubileo.

Passiamo per prati fino ad entrare all’interno del Policlinico di Torvergata, stacco la mia canna di bambù da un canneto prossimo a un rigagnolo d’acqua, e proseguiamo dentro cespugli di cardi per rientrare nel consorzio che avevamo lasciato poco prima. Sotto la recinzione orti ben coltivati con pomodori e insaltina rubano lo spazio al prato di nessuno che ci ha rallentato il cammino. Si passà alle palazzini con otto citofoni per civico, mi chiedo « ma esiste la definizione villette ottofamiliari ? ».

Usciamo dal consorzio dove a lato fa da guardia ungiovane portiere stanco per il continuo via vai. Passimo grazie al sottopasso  Torbella monaca la ferrovia e ci ritroviamo difronte al teatro omonimo. Qui incontriamo La rappresentante del coordinamento Case Popolari, una ragazza piena di energia con una bimba piccola, ma sveglissima vestita con una gonna a quadri. Si parla della sua precedente esperienza di occupazione come l’inizio dlela sua lotta per il diritto alla casa e delle violenze razziali del qurtiere. Quando la gente è disperata e non ha niente da perdere recepisce le cose che gli si racontano, le fandonie e tutto e si scaraventa con chi è come te solo più debole.si cerca di dare la colpa a qualcuno, aggredendolo. Il PEP del 1964 prevedeva dal 70-al 90% di case popolari concentrate in una sola zona attraverso la creazione di cooperative o la costruzione diretta da parte di imprenditori privati. Questo piano di zona ha dato vita a Ponte di Nona ed altri quartieri limitrofi, creando una zona ghetto. Altri progetti recenti come il teatro, che dovrebbe chiudere per mancanza di fondi, ci dice che non ha veramente attecchito tra la gente del quartiere. Come punto di incontro i suoi vicini preferiscono il supermercato, luogo di tanti episodi di « bullismo » come dice Alemanno.

Passiamo oltre, attraversiamo alcune case costruite attraverso cooperative incontriamo per caso uno degli architetti e ci scambiamo due parole. Al cassonetto vicino alcune ragazze trovano una macchinetta a pedali, un maggiolino rosso cabriolet. Appena lo vede Piccio pensa al compleanno di suo figlio che compirà presto tre anni e pensa a come portarlo con se fino a casa. Io ho la malsana idea di proporgli la mia sciarpa come guinzaglio ed inizia l’avventura del maggiolino portato a spasso come un cane per la città. La gente ride dai balconi e si stupisce della nostra follia, cosi facendo arriviamo in mezzo ai campi nel casale di un pastore che ci vende ricotta e pecorino fresco solo due ore dopo lo mangieremo.

Nel mentre ci si proccupa di come fare a passare dall’altra parte del raccordo visto che ci è stato rifiutata la richiesta di passare per un ponte, di proprietà privata che passa sopra il GRA. Si  guada un rivo d’acqua ben due volte prima di arrivare ai resti dell’acquedotto Alessandrino. Li accannto si staglia un meraviglioso viadotto che inizia tra gli olivi e termina nello stesso modo, così come monumento a quello che sarà il fututo di quei luoghi ora grano e in seguito cemento. Mangiamo all’ombra di vari lecci, seduti su una strada bianca accompagnati da vino bianco, caldo e il timore che arrivi qualcuno che ci distolga dal nostro banchetto delle 4.30 del pomeriggio. Infatti subito dopo averlo detto arriva un gregge enorme di pecore con pastore e cani maremmani al fianco che ci fa sloggiare e ci impedisce di risederci nello stesso punto per tutti i ricordi che hanno lasciato a terra. Ci spostiamo al sole dove il vino e la calura fanno i suoi effetti. Prima di sprofondare nell’abbiocco post-pranzo ci mettiamo in cammino…

Casolari abbandonati, pensieri che volano si inizia a parlare di occupazione, di Casilino 900, di Rom, del problema casa, di distanze fisiche, ma anche mentali tra quelle case e Roma. Eppure se ci si pensa bene quei casolari in mezzo al nulla, circondati da rigogliosa campagna,  in verità sono a due passi da via di tor di Nona, da Torbella monaca e ben presto si troveranno sommersi dalla città .

Passiamo campi coltivate a fave, dove un contadino non si stanca di ripeterci, « potete passare, ma non è un luogo di passaggio , mi fa piacere che passate, ma non è un luogo di passaggio … » e via cosi per circa due minuti a loop pronunciando sempre la stessa frase con lo stesso ritmo. Ridiamo tutti e ce ne andiamo verso il parco alessandrino. Ci accoglie un ritmo di tamburi africani : djambé, tarabuche e altro. Sostiamo un momento all’ombra dell’acquedotto cercando di ascoltare le parole del comitato per la difesa del parco, male orecchie sono completamente assorbite da quel ritmo primitivo. Ci avviciniamo a delle donne marocchine che suonano e ballano animatamente, tanto da coinvolgere tutti nella loro follia. Bambine quasi tarantolate agitano forsannatamente il bacino e i capelli al vento al suono delle percussioni e delle lingue che si agitano in suoni mistici.

Per concludere la nostra passeggiata arriviamo al casilino 900…entriamo prima io Giulia e Caterina, facciamo in tempo a essere avvicinate da un gruppo di bambine che ci getta petali di rosa, a ricevere una proposta di matrimonio e a essere accusate di essere giornaliste o poliziotte prima che tutto il gruppo ci raggiunga per concludere il nostro viaggio banchettando al tavolo con i rom.Alla fioca luce dei fari della macchina, mangiamo pecora, olive, pane e formaggio accompagnati dalla fuliggine di quelle case bruciate da pochi giorni su cui ci stiamo confrontando.

« Speriamo che dalla cenere nascono dei fiori e non resti solo il fango in questo campo » continuo a ripetermi nella mia testa. Ci allontaniamo per ritornare a casa alcuni a piedi altri su un cargo caricati come un braco di pecore o soldati pronti per la guerra. Accompagno mano nella mano una bambina di Torbella Monaca che è venuta a cenare con noi. Il suo timore più grande non è quella verso i roma, ma sono le sue bellissime scarpette nuove, bianche che non devono tornare a casa sporche altrimenti la mamma la prenderà a cinghiate.

Forse sarebbe più libera a correre scalza in mezzo al « pattume » come lo chiamava lei del campo piuttosto che vivere in quel terrore con cui dovrà confrontarsi vista l’enorme quantità di melma accumulatesi sulle sue scarpe.

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